Colapesce, figlio di Nettuno

Mezzo uomo, mezzo pesce. Pinne al posto delle gambe, mani palmate, viso e mente umani. Chi non ha mai sognato di immergersi a lungo e avventurarsi nei recessi delle profondità marine e poi tornare a raccontare le proprie incredibili scoperte?
L’uomo pesce è un essere in grado di muoversi liberamente tra i due mondi: il mare e la terraferma. Tra sirene, antiche divinità e mostri marini, il mito del teriantropo marino emerge da ogni latitudine del pianeta, dal sumero dio Oannes, portatore di civiltà, ai dispettosi kappa giapponesi, dal mitico Nommo venerato dalle tribù del Mali fino ai Telchini greci.
E la nostra penisola non è da meno in quanto a esseri sottomarini. Tra le più diffuse c’è sicuramente la leggenda medievale di Colapesce, o Nicola pesce, nelle sue tanti varianti diffuse specialmente in sud Italia. La versione messinese venne raccontata da Italo Calvino in Fiabe Italiane, mentre quella partenopea venne raccolta da Benedetto Croce in Storie e leggende napoletane.
Nicola, detto “Cola”, era un ragazzo che amava passare tutto il tempo in mare a tuffarsi e nuotare. La madre, disperata, lo richiamava di continuo sulla terraferma, ma lui continuava a ignorarla e a restarsene in acqua. Un giorno, esausta, la madre gli augurò di trasformarsi in pesce… e la maledizione ebbe effetto! Il corpo del ragazzo si ricoprì di squame, le mani divennero palmate, e da quel giorno divenne per sempre una creatura marina.
La voce dell’esistenza di un uomo pesce passò di bocca in bocca, fino ad arrivare alle orecchie del re (che in alcune versioni della leggenda è l’imperatore Federico II). Quando Colapesce si recò alla sua presenza, il re gli comandò di esplorare le profondità marine e raccontargli quello che scorgeva là dove nessun uomo poteva andare, sfidandolo in mille modi.
Un giorno, al ritorno da un’immersione del ragazzo, il re domandò a Colapesce su cosa poggiasse la Sicilia, e lui gli raccontò ciò che aveva visto: l’isola poggiava su tre colonne, una sana, una scheggiata e una rotta. Il re lo mise ancora una volta alla prova e buttò in un punto profondissimo la propria corona (che in altre versioni è una coppa, o un anello, o tutti e tre gli oggetti insieme). Colapesce, esausto, si immerse un’ultima volta… ma non tornò mai più a galla.
Tutto ciò che affiorò sulla superficie del mare fu una manciata di lenticchie, il segnale che il ragazzo non sarebbe mai più riemerso.
Cosa accadde a Colapesce?
Si dice che rimase sul fondo del mare a sorreggere la colonna rotta nelle profondità del mare di Sicilia, come un novello Atlante, e che da allora faccia ritorno in superficie soltanto una volta ogni cento anni.
In ogni paese di mare dell’isola la storia di Colapesce cambia, e se ne possono ascoltare mille varianti. Secondo altre versioni, per esempio, il ragazzo si faceva inghiottire apposta da balene e grandi cetacei per viaggiare nelle profondità marine; per uscirne tagliava loro la pancia, un po’ come le figure di Giona, il profeta biblico, e di Geppetto, il padre di Pinocchio.
A Napoli, le storie sugli uomini-pesce si fondono con la leggenda dei Figli di Nettuno, una misteriosa confraternita di cercatori di tesori sommersi che, si dice, fosse in grado di immergersi a lungo nelle profondità marine grazie a delle mute fatte di squame di pesci e alla magica benedizione della sirena Partenope. E in certe versioni della storia, anche Colapesce è considerato un figlio del re del mare.
In un’altra versione napoletana della leggenda, Colapesce un giorno si tuffò per recuperare il bracciale di una nobile fanciulla, che era scivolato in acqua. Il suo gesto tuttavia non piacque a una sirena innamorata di lui che, ingelosita, lo trattenne sul fondale finché non annegò. Si dice che da allora il suo spirito possa apparire nei giorni in cui il mare è in tempesta, gridando la sua rabbia.
Ora Napoletano, ora Messinese, ora Barese, Colapesce è un mito trasversale. Nel XII secolo Nicolas the Fish venne persino menzionato da un cronista gallese di nome Walter Maps, e le gesta di un certo Nicola de Bar vennero cantate dal poeta provenzale Raimon Jordan. Ne esistono anche versioni spagnole e di altri paesi europei.
Quasi sempre Colapesce aiuta i pescatori a scovare i luoghi più ricchi di pesce, trova tesori sommersi, racconta i misteri del mare, e rimane sempre più un umano che un mostro marino. Tendenzialmente è una figura positiva, a metà strada fra gli antichi dèi pesce babilonesi portatori di conoscenza e civiltà (in cui gli amanti dei misteri amano vedere antichi astronauti con tanto di scafandri, o illuminati sopravvissuti di Atlantide pronti a ricostruire il mondo), e le sirene ammaliatrici dell’Odissea.
Niente a che vedere con i terrificanti uomini pesce narrati da Lovercraft, abomini nati da malvage divinità abissali, né con l’invincibile Acquaman dei fumetti, il figlio di Atlantide immaginato da Stan Lee.
È invece un tenero bambino mutaforma il Colapesce di Luca, il nuovo film della Pixar che vuole essere una rivisitazione moderna della leggenda, ambientato lungo le coste della Liguria. Ci auguriamo che questo divertente film di animazione possa riportare in auge fra le nuove generazioni un mito nostrano ancora troppo poco conosciuto, che altrimenti rischia di sbiadire nella risacca del tempo, come gran parte del nostro bagaglio folkloristico.

(Flavia Imperi)28