Le sette cose fatali

Come ha fatto l’antica civiltà romana a prosperare per tanto tempo?
Oggi sappiamo che a contribuire alla longevità e prosperità dell’Impero Romano sono stati numerosi fattori, tra cui l’ingegno, la straordinaria efficienza e la lungimiranza della sua popolazione.
Ma se aveste posto la stessa domanda a un cittadino dell’epoca, molto probabilmente avrebbe risposto che era tutto merito dei Pignora Imperii, ovvero i “pegni del comando”, sette talismani magici considerati i pilastri del potere dell’Urbe.
Perché proprio sette? Il numero sette era considerato magico presso molti popoli antichi, simbolo della perfezione. Roma ebbe sette re, sette colli (il Settimonzio) e sette oggetti sacri.
Presenti sin dagli albori della civiltà romana, ai sette oggetti sacri, anche detti pignora civitas o signa fatalia, erano legati miti, leggende e profezie.
«Ci furono sette garanzie a tenere il potere a Roma: la pietra della Madre degli Dèi, la quadriga di argilla dei Veienti, le ceneri di Oreste, lo scettro di Priamo, il velo di Iliona, il palladio, gli ancilia» narra Maurus Servius Honoratus nel Vergilii carmina comentarii all’Eneide.
Dunque, tre vennero dati agli elfi… ah, no, scusate. Tre, anzi quattro, venivano dall’antica città di Troia, ritenuta inespugnabile e sconfitta solo tramite uno stratagemma, e furono portati a Roma insieme ai penati della città di Ilio: lo scettro di re Priamo, le ceneri dell’eroe Oreste e il velo di Iliona e il Palladio. L’Ancile (come il Palladio) cadde dal cielo, il carro dei Veienti aveva origine etrusca, mentre l’ago di Cibele proveniva dall’Anatolia. Ciascun oggetto è legato a eventi mitici o storici che resero grande Roma.
Lo scettro di Priamo – potere e alleanza
Lo scettro appartenuto all’ultimo re di Troia. Quando la città di Troia fu presa e re Priamo venne ucciso, Enea recuperò il suo scettro dalla fiamme. L’eroe portò la reliquia con sé fino alle sponde laziali, dove la offrì al re Latino come pegno di alleanza.
Lo scettro di Priamo, conservato sul monte Palatino, luogo di fondazione di Roma, sanciva un legame tra Roma e Troia, e il suo possesso conferiva il diritto di regnare agli occhi degli dèi. Era simbolo di potere, alleanza e continuità.
La ceneri di Oreste – pax deorum
Oreste era figlio di re Agamennone e di Clitennestra. Punì con la morte la sua stessa madre, colpevole di aver ucciso Agamennone, ma venne giudicato innocente dall’antico tribunale di Atene. Dopo essersi liberato delle Erinni, giunse presso il Nemus di Diana, dove alla sua morte sarebbe stato sepolto dalla sorella Ifigenia.
Dopo la vittoria sulla Lega Latina, le sue ceneri vennero dissotterrate e portate a Roma, dove erano custodite sotto la soglia del tempio di Saturno, vicino al tempio della Concordia.
Avendo compiuto scelte drammatiche e vendicato il padre, Oreste divenne il simbolo di un nuovo equilibrio di pace e stabilità, la “pax deorum”, che rappresentava l’equilibrio tra il diritto umano e quello divino.
Il velo di Iliona – giustizia
Il velo di Iliona era un prezioso tessuto, forse una vera e propria veste adornata di ricami a forma di foglie d’acanto. In origine apparteneva a Iliona, la moglie di Polimestore, re di Tracia, e in seguito fu donato dalla madre Leda a Elena.
La bella Elena lo indossò in occasione delle sue nozze con Paride. Poiché Iliona riuscì a vendicare la morte del fratello uccidendo suo marito, secondo alcuni simboleggerebbe l’intangibilità della giustizia.
Il Palladio – saggezza
Il Palladio era una statua di Atena, ritratta con il petto coperto dall’egida, una lancia nella mano destra e un fuso nella mano sinistra. “Pallade” era uno degli epiteti della dea, ma anche un nume della saggezza venerato presso una tribù pelasgica dell’Attica.
La statua cadde dal cielo al tempo della fondazione di Troia e l’oracolo di Apollo predisse che la città che l’avrebbe ospitata si sarebbe conservata finché la statua fosse rimasta nelle sue mura. Dopo la caduta di Troia il Palladio venne portato nel Lazio da Enea e in seguito trasferito a Roma da Numa Pompilio.
Era conservato nel penus tempio di Vesta e sorvegliato dalle sacerdotesse. Solo la Vestale Massima poteva guardare la statua e distinguere l’originale dalle sue copie.
Rappresentava la forza e il potere magico, e anch’esso, se maneggiato incautamente, si diceva che potesse rendere ciechi.
La quadriga di Veio – grandezza
La quadriga dei veienti era una rappresentazione di terracotta del tempio di Giove. Ornava il tempio del padre degli dei sul Campidoglio e si dice che fosse stata costruita da un artigiano etrusco, appunto di Veio, una città etrusca considerata imprendibile finché non venne presa da Roma con uno stratagemma. Si racconta che durante la cottura in forno, la quadriga si gonfiò tanto che l’artigiano dovette rompere il forno per poterla recuperare e l’evento fu visto come un segno di futura grandezza.
Secondo la leggenda venne portata dall’ultimo re di Roma, Tarquinio il Superbo, sul tetto del tempio di Giove, ed è legata alla sconfitta degli etruschi.
Lo scudo ancile – protezione
L’ancile era uno scudo bilobato che veniva portato in processione dai sacerdoti Salii insieme a undici copie identiche. L’originale era stato un dono di Marte a Numa Pompilio, caduto dal cielo al termine di una orribile pestilenza che stava devastando Roma. Fu re Numa a chiedere al fabbro Mamurio Veturio di farne undici copie per scongiurarne il furto, e in seguito fece conservare tutti e dodici gli ancilia prima nella sua Regia, poi nel tempio di Marte annesso alla casa dei Salii Palatini.
I sacerdoti vaticinarono che Roma sarebbe stata grande fin quando il vero ancile fosse rimasto entro le mura della città, garantendo la salvezza e il mantenimento del suo potere contro i nemici e contro calamità naturali o divine come la pestilenza.
L’ago di Cibele – potere divino
L’ago di Cibele era una pietra nera di forma conica, di probabile origine meteorica, considerata il betilo della Madre degli dei, ovvero la sua dimora.
Proveniva da Pessinunte, in Anatolia, venne portato a Roma durante le guerre puniche per fermare Annibale, rimanendo per sempre lagato nell’immaginario collettivo alla sconfitta del grande nemico. La sua introduzione tra gli oggetti magici fu decisa dal Senato per via di una profezia presente dei Libri Sibillini: “La Madre è assente: ti impongo, o Romano, di cercare la Madre; quando arriverà, dovrà essere ricevuta da mano casta.”
Veniva conservato nel tempio di Cibele sul Palatino, all’interno della bocca della statua della dea e, come per il Palladio, si narra che il suo potere, se maneggiato in modo incauto, rendesse ciechi. Solo dei sacerdoti castrati di origine non romana, detti “galli”, potevano custodirla. Secondo alcuni, la pietra nera si troverebbe nel Lapis Niger, il luogo dove è sepolto Romolo, nel Foro Romano.
Cibele, la Magna Mater, rappresentava la forza creatrice e allo stesso tempo distruttiva della natura.
Una profezia avverata
Ciascuno dei sette oggetti era dotato di un particolare potere simbolico, ma erano anche ritenuti veri e propri talismani dotati di potere magico. Si credeva fermamente che, finché fossero stati conservati entro le mura di Roma e venerati, la città avrebbe prosperato. Ma, se mai fossero stati rubati o profanati da mani indegne, sarebbe stata la fine dell’Impero.
E in effetti così fu: i sette oggetti sacri vennero conservati nel cuore di Roma fino all’Editto di Teodosio, che mise al bando ogni genere di culto pagano. Da allora se ne perse traccia e i sette pignora imperii svanirono nel nulla.
Nel giro di pochi anni, i visigoti saccheggiarono la città di Roma e dell’impero millenario non rimasero che ruderi e ceneri.
Che gli dèi, adirati contro i romani cristianizzati, avessero smesso di proteggere la città eterna?
(Flavia Imperi)