Kill Whitey, di Brian Keene
Brian Keene
Kill Whitey
Cemetery Dance, 2008
Un Brian Keene alle prese con qualcosa di diverso in questo suo romanzo del 2008. Ci troviamo, infatti, di fronte a una realtà che potremmo definire quotidiana, se confrontata con gli abituali standard narrativi dell’autore. Il protagonista di Kill Whitey, è ricercato da alcuni mafiosi russi per aver aiutato una prostituta incinta, loro connazionale e dalla quale sembra impossibile non innamorarsi, a fuggire. Lo ammetto, avessi letto questa trama su un romanzo targato con qualche altro nome, probabilmente sarei passato oltre. In questo caso è stata proprio la diversità con il resto della produzione di Keene a intrigarmi, portandomi a dare una chance al libro. Il risultato è stato il seguente: ho terminato il libro nel giro di ventiquattro ore e, sebbene non possa dire che questo sia uno dei lavori migliori dell’autore americano, è comunque molto divertente, ha un ritmo incalzante e regala i suoi momenti.
Arma vincente è di sicuro lo stile dell’autore che, anche utilizzando la prima persona, rende scorrevole la lettura come non mai. La vicenda viene quindi narrata attraverso gli occhi di Larry Gordon che prima si ritrova ad andare a uno strip club con i suoi colleghi, quindi a legarsi a Sondra e infine a fuggire da Whitey, il losco proprietario dello strip. Fino a metà libro si ha l’impressione di trovarsi in un thriller: per quanto concitato si sente la mancanza dell’elemento sovrannaturale. Ed ecco che, quando uno meno se l’aspetta, arriva la sorpresa: uccidere questo Whitey è molto meno facile di quanto sembri. Simile a un Jason Voorhes (citato nel romanzo, tra le altre cose) con pistola e accento russo, Whitey continua a inseguire il protagonista, apparentemente incurante della quantità di piombo che il suo corpo accumula. C’è naturalmente un motivo per questa sua invulnerabilità alla morte e, arrivando alla fine, si scopre che non è neanche così strampalato. Il romanzo riesce a trasmettere al lettore lo stesso senso di angoscia del protagonista. Alcuni elementi non vengono chiariti ma non è per forza un male: dopo tutto, noi sappiamo solo ciò che Larry sa.
Non mancano ovviamente gli elementi splatter tanto cari a Keene, soprattutto nella seconda parte, descritti con chirurgica precisione, così come i consueti riferimenti ad altri libri dell’autore (esatto, si accenna al pow wow anche qui).
Ho trovato quest’esperimento molto ben riuscito e credo che Keene possa tentare un azzardo anche in territori thriller, uscendone tranquillamente vincitore. Consigliato a chi già lo conosce e vuole qualcosa di diverso. Per quanto mi riguarda, credo di aver aspettato abbastanza prima di cominciare Entombed, il terzo capitolo della sua saga zombie.
Quattro revolver.
(Mauro Saracino)