Recensione: PARADISE CITY di Joe Thomas
Titolo: Paradise City
Autore: Joe Thomas
Editore: Carbonio Editore
Anno: 2018
Pagine: 313
Prezzo: 17,50 euro (cartaceo)
Sinossi
Mario Leme, investigatore della Polícia Civil di São Paulo, non è più lo stesso da quando un tragico incidente ha sconvolto la sua vita: l’amatissima moglie Renata è rimasta uccisa l’anno prima da una bala perdida, un proiettile vagante, durante una sparatoria tra polizia e trafficanti di droga. Renata era un’attivista, un avvocato coraggioso che si dedicava agli ultimi e aveva il suo studio proprio nella favela dove ha perso la vita: Paraisópolis, un inferno di violenza e criminalità. Ma un giorno, proprio in quella favela, Leme assiste a un altro incidente mortale: un SUV sbanda e si ribalta. Sul corpo della vittima però scorge delle ferite da proiettile, un attimo prima che la polizia militare lo porti via in tutta fretta. Un omicidio fatto passare per incidente. Da quel momento Leme è attanagliato dal dubbio che anche quello di Renata sia stato in realtà un omicidio…
La recensione di Nero Cafè
Finalmente, riesco a parlarvi di questo libro, un hard-boiled bello tosto, di quelli che, una volta letti, ti rimangono nel cuore.
Il romanzo è scorrevolissimo, sia per l’intreccio agile sia per lo stile di scrittura, che non presenta alcun artifizio ed è godibile da qualsiasi tipologia di lettori, più o meno forti. Thomas, infatti, non usa paroloni né costrutti sintattici laboriosi, ma espressioni semplici – e spesso spietate – che si sposano benissimo col genere e fanno il loro dovere, colpendo il lettore o facendolo riflettere o, ancora, strappandogli un sorriso amaro. Ho trovato interessantissimo il fatto che Thomas non rinunci alle descrizioni né ambientali né psicofisiche, ma lo faccia in pochi, essenziali tratti; un’ottima commistione capace di far immergere il lettore in una realtà sconosciuta senza annoiarlo. Riguardo alla struttura dell’opera risulta grossomodo lineare, in cui la trama principale è spezzata, di tanto in tanto, dai flashback dedicati a Renata, la moglie di Leme, uccisa da un proiettile vagante.
Immenso il lavoro di caratterizzazione dei personaggi, che parte dai loro comportamenti e abitudini, passa per le descrizioni fisiche e trova massimo risaldo nei dialoghi, che risultano veri, vivi, quotidiani. L’ambientazione è magistrale una cartolina nera del Brasile, una São Paulo ricca e dorata in netta contrapposizione a quella grigia e triste della favela.
È la seconda opera di Carbonio Editore che ho il piacere di leggere capace di travalicare gli schemi classici del thriller o, in questo caso, dell’hard-boiled. C’è indubbiamente suspense – fino alle ultime pagine si resta col fiato sospeso – ma il romanzo di Thomas va un po’ oltre. Come già Il mistero dell’orto di Rocksburg, di K.C. Constantine, anche Paradise City sfocia nella narrazione sociale, nella denuncia, in un certo senso, di una realtà quotidiana che uccide fisicamente e moralmente, in cui i personaggi sono sia eroi sia antieroi, sia protagonisti sia comparse di un dramma teatrale in cui non hanno vera e propria libertà di scelta, poiché il mondo impone loro dei limiti che vorrebbero a tutti i costi travalicare, ma non possono.
In questo romanzo, il lettore calza perfettamente i panni dell’investigatore Leme. Vive il suo dolore per la perdita della moglie, ne mastica la tenacia e la volontà di trovare una risposta a quanto è accaduto. Eppure, allo stesso tempo, capiscono (Leme e il lettore) di essere vincolati al proprio ruolo: la Policia Civil, infatti, non ha un ruolo preponderante nel sistema di sicurezza brasiliano, che è completamente nelle mani dei militari, i quali presidiano strade e quartieri. Leme e il lettore, insomma, devono tirare spallate a destra e a manca per riuscire a chiarire sia l’assassinio di Renata sia l’incidente mortale proprio lì, a Paraisopólis, la favela di São Paulo, in cui violenza e povertà sono le uniche certezze degli abitanti. Così come, nella São Paulo ricca, le uniche certezze sono il denaro e l’ostentazione, che portano la gente a divenire arida di morale e sentimenti, pronta a tutto
pur di scalare con successo la scala sociale.
L’unica osservazione che mi sento di muovere è rivolta all’utilizzo a mio avviso un po’ eccessivo di termini o espressioni portoghesi. Se da una parte amplificano il realismo, dall’altra rischiano di confondere e, qualche volta, stancare mentalmente il lettore, soprattutto chi, come me, ha un’infarinatura quasi nulla della lingua.
Al di là che Paradise City è un ottimo romanzo di genere – e questo va detto e ribadito – è un titolo che va letto (imperativo) perché in sé detiene un grido furioso e indignato per il degrado sociale a cui il Brasile deve far fronte quotidianamente: miseria e povertà (per citare una pietra miliare del cinema italiano), corruzione, speculazione edilizia, rabbia e rassegnazione. Una lettura poliedrica, che può essere “di svago” ma che, una volta terminata, è capace di far riflettere e porre un sacco di fastidiose domande.
Assolutamente consigliata per un pubblico vastissimo.
Valutazione: quattro coltelli e mezzo.
Estratto
Leme guardò dritto davanti a sé, le macchine gli sfrecciavano intorno, delle veloci linee di grigio e nero.
Qualcuno urlava dietro di lui.
Il ritorno di fiamma dello scarico di una macchina.
Leme si girò sul sedile, si guardò alle spalle ma non vide nulla. Un’altra esplosione. Fuochi d’artificio? No, troppo presto. E poi, di nuovo, tre scoppi in rapida successione. Colpi d’arma da fuoco. Ne era sicuro.
Altre urla. La coda per l’autobus venne percorsa da un fremito di paura, alcuni si incamminarono in tutta fretta verso la strada principale. Leme si sporse dal finestrino e percepì la tensione. Allungò la mano per girare la chiave nel cruscotto. Doveva andarsene. Ma la macchina non partì al primo tentativo.
(Tatiana Sabina Meloni)