Incontro con Massimiliano Gizzi: perché anche i “cattivi” possono essere sfortunati
Diamo il benvenuto a Massimiliano Gizzi, autore di La ragazza che non sapeva piangere, recente uscita in casa Nero Press.
Ciao e benvenuto. Con te, oggi, riparte la rubrica Il gatto a nove code e avrai la fortuna di affrontare per primo le nove terrificanti domande a cui sottoporremo i prescelti delle nostre interviste.
Pronto? Cominciamo.
1. Il concepimento.
D: Come è nato La ragazza che non sapeva piangere?
R: La ragazza che non sapeva piangere nasce quasi per caso. Stavo scrivendo altro, una storia che ho in mente da anni, ma che non ha mai preso una forma concreta. Così, tra una falsa partenza e l’altra un giorno, per rilassarmi, mi sono imbattuto in un film horror del 2008, The Strangers di Bryan Bertino. Era un film dalla trama piuttosto lineare, dove un gruppo di anonimi assassini (nel film non si vedranno mai senza maschera) prende di mira una coppia in una casa isolata, per il puro gusto di fare del male. Un film che non mi ha colpito particolarmente sul momento, ma che ha continuato a frullarmi in testa per diverso tempo. Così mi sono chiesto cosa non mi quadrasse in quella storia. Erano i cattivi, non solo non avevano nessun tipo di background, ma soprattutto, non incontravano, nella loro impresa, il minimo ostacolo. Alle due povere vittime non ne andava bene una, ma ai loro carnefici andava tutto liscio come l’olio. Ho cominciato a pensare che una storia che mi sarebbe piacito vedere o leggere, sarebbe stata quella in cui degli aggressori, “umani” almeno quanto le loro vittime, si fossero trovati davanti a delle vere difficoltà, a volte quasi insormontabili, come ad esempio i loro conflitti personali, ma anche superare il muro di cinta della villa da prendere sotto assedio o a muoversi al buio, coordinarsi tra di loro, non fratturarsi il mignolo su uno spigolo. Ma non bastava, la cosa che mi stimolava di più è che fossero il gruppo di aggressori più sfortunati del mondo, quelli che adocchiano una vittima che poi si rivela tutt’altro che indifesa. Così è nato Andrea Neri, un fotografo dall’aspetto innocuo che vive in un grande casale isolato ma che in realtà nasconde segreti oscuri e una malvagità spietata. Il Nero, come lo ribattezzerà un personaggio, trasformerà i cacciatori in prede, gli aggressori in vittime.
Appena elaborata, questa storia, mi sono reso conto che aveva già una forma più concreta di tutto quello che avevo pensato fino allora, in quel momento ho capito che quando trovi una storia che vuoi scrivere veramente, lo sai subito che è lei, così mi ci sono buttato anima e corpo.
Una curiosità, The Strangers, anche se mai nominato direttamente, è proprio il film che Carotina e Ciccio stanno guardando nei primi capitoli del romanzo. Mi piaceva l’idea che questa storia avesse avuto lo stesso punto di partenza, tanto per me quanto per i miei personaggi.
2. La scrittura.
D: In che modo sei arrivato a dare al romanzo la sua struttura definitiva?
R: La struttura per me è una cosa seria, mi piacciono molto le storie con una buona ossatura, così, negli anni, ho studiato molta letteratura didattica a riguardo. I testi che ho trovato più utili sono stati sicuramente Story e Dialoghi, entrambe di McKee, ma soprattutto Save the cat di Blake Snyder. Li ho usati più che altro in prima stesura (che per quanto mi riguarda, non è mai una sola stesura), ovvero la parte più creativa del processo. Naturalmente sono testi pieni di “regole” che poi, l’autore deve essere libero di sconvolgere, di solito in seconda stesura, ma servono proprio per immaginare, quando ancora la storia è informe, una ossatura convincente.
Fondamentale poi è stato frequentare una scuola di scrittura, nel mio caso l’Omero, principalmente per due motivi: il primo, perché per quelli come me (i procrastinatori seriali) avere delle scadenze dove consegnare un tot numero di pagine ogni tre settimane, è un salva vita senza prezzo.
Secondo, sempre per quelli come me (gli insicuri seriali) è fondamentale avere dei lettori competenti, che ti dicano quello che è convincente e quello che non lo è, prima che te ne accorga da solo, ovvero dopo duecento pagine totalmente da buttare. Su questo sono stato molto fortunato, perché ho avuto due editor eccezionalmente competenti: Paolo Restuccia ed Enrico Valenzi.
Un altro colpo di fortuna è stata essere selezionato dalla Nero Press, che essendo una casa editrice molto seria, ha sottoposto il mio romanzo a un ulteriore editing, curato da una bravissima Tatiana Sabina Meloni, con la quale ho affrontato di nuovo il testo quasi parola per parola, limando ogni aspetto, come fosse un lavoro di artigianato e dove mi sono trovato costretto (e felicissimo di esserlo) a scrivere ulteriori dieci capitoli che spiegano meglio le origini di Andrea Neri, chiarendo punti che nella versione precedente, rimanevano in ombra.
3. I personaggi.
D: Parlaci di come hai gestito i personaggi… o forse loro hanno gestito te?
R: Sicuramente sono loro che hanno gestito me. Appena concepiti, prima ancora di metterli sulla pagina, erano tutti totalmente differenti. Intanto avevo pensato di dare a ognuno dei tre protagonisti, Ciccio, Claudio e Carotina lo stesso peso nella storia, ma più scrivevo e più mi rendevo conto era Carotina la vera protagonista, aveva lo spessore, l’arroganza e la forza di un leader e dopo un po’ mi sono arreso, aveva vinto lei, la storia era sua. Tanto che, quando con la Nero Press abbiamo deciso di cambiare il titolo, il romanzo è diventato La ragazza che non sapeva piangere, giusto per non lasciare dubbi su chi fosse la vera star. Un processo diverso è stato quello di altri tre personaggi: Osso, Carla e Massimino, questi dovevano essere dei personaggi passeggeri, utili principalmente per una scena in particolare, il capitolo che nel romanzo si chiama Colpo d’Hokuto. Ma una volta scritta mi sono reso conto che quelli non potevano solo rimanere dei personaggi tinca, ma che avevano tutte le carte in regola per diventare fondamentali per la storia.
Ho sempre pensato che i personaggi di una storia debbano essere “vivi”, ma prima di cimentarmi in un romanzo lungo, non mi ero reso conto di quanto potessero sconvolgere i piani di chi li crea, mentre prendono decisioni, forza e carattere. Devo dire di essere particolarmente orgoglioso dei mei personaggi, non sono rimasti inermi davanti alla storia che gli mettevo davanti, hanno reagito, hanno combattuto e spesso mi hanno sorpreso.
4. Autocritica.
D: Se dovessi dare un giudizio al tuo romanzo da lettore, che giudizio sarebbe?
R: La ragazza che non sapeva piangere è un romanzo di genere ed è assolutamente quello che vuole essere. Non ho mai avuto velleità di scrivere alta letteratura, non pretendevo di mettere il lettore davanti a quesiti filosofici che gli avrebbero cambiato la vita, né di esibirmi in un linguaggio particolarmente poetico.
Io voglio scrivere narrativa, raccontare una storia, divertirmi nel farlo, e far divertire chi mi legge. Questo non vuol dire che scrivere questo romanzo non abbia richiesto tempo e fatica, ha richiesto molto, sia dell’uno che dell’altra cosa, per far si che il lettore si trovi davanti a una storia appagante, ma soprattutto che io leggendo non mi ritrovi a fare smorfie di disappunto.
Quello che mi interessava era una storia che piacesse a me prima di tutto.
L’ho appena riletto, su carta, stampato (era uno dei miei sogni), facendo finta di non averlo scritto io, devo dire che mi ha restituito quello che mi ero ripromesso: divertimento, paura ed emozione.
5. Il pubblico.
D: Hai già avuto un riscontro critico da parte del pubblico?
R: Il libro è uscito da poco, il primo pubblico sta cominciando a leggerlo ora. Ma qualche riscontro l’ho avuto ancora prima della pubblicazione.
La prima iniezione di fiducia ce l’ho avuta partecipando, con la versione che non era ancora quella finale, al concorso del Premio Calvino. Non era certo un romanzo in linea con quel tipo di competizione, infatti non mi sono classificato e non era quello il mio scopo. Ho voluto partecipare perché volevo un giudizio e il Calvino è un premio che garantisce una scheda valutativa da persone del settore. Mi è stata mandata un’ottima valutazione, cosa per niente scontata per un Premio di quel livello, la scheda valutativa si concludeva così:
Paura del buio (questo era il titolo in origine) si legge con piacere e non è un’opera riservata ai soli cultori dell’horror. Il divertimento, che non sfocia mai nel ridicolo, anima una trama ricca di inventiva e di colpi di scena. Con qualche accorgimento si potrebbe pensare, oltre che a un buon romanzo, anche a una versione per il cinema.
La seconda dose di amor proprio me l’ha data proprio la Nero Press selezionandomi. È stato importante per me che una casa Editrice, che già conoscevo e ammiravo ogni anno in cui andavo a Più libri più liberi, ritenesse di voler investire sulla mia storia, sono conferme molto importanti per uno come me, che non si sente mai del tutto all’altezza della situazione.
E l’ultima è stata una bellissima e lusinghiera recensione pubblicata dal Blog letterario Les fleurs du mal uscita poco dopo la pubblicazione del romanzo.
6. L’orrore.
D: Cos’è per te l’orrore?
R: L’orrore, inteso come genere, deve avere caratteristiche ben precise per me. Intanto non deve prendersi troppo sul serio, l’umorismo in una storia oscura è fondamentale, la rende, a mio avviso, più vera, più “umana” e meno stereotipata. L’orrore però non può rinunciare a fare paura e per fare questo un autore deve avere paura. Se a letto, dopo aver scritto una storia dell’orrore, non sei neanche un po’ inquieto ripensandoci, allora forse è il caso di ricominciare da capo.
Sono stato sempre affascinato dalle storie horror, fin da bambino, probabilmente perché è una passione di famiglia. Mia madre è una spaventatrice seriale, da piccoli io e mia sorella dovevamo controllare ogni angolo buio di casa prima di sentirci al sicuro, lei poteva uscire all’improvviso da ogni anfratto per il semplice gusto di farti saltare. I film horror erano all’ordine del giorno, vampiri, zombie, licantropi, mi vedevo di tutto già da piccolo, spesso di nascosto, rubando le videocassette dalla libreria di mio padre.
Mia sorella ha la stessa passione, spazia dal trash al film d’autore come se niente fosse e ha una soglia di resistenza allo splatter decisamente più alta della mia. In pratica siamo la versione italiana della famiglia Addams.
Quindi mi sentivo molto coraggioso, i film non mi spaventavano facilmente, ero allenato. Un giorno, verso gli undici anni, trovai in libreria una raccolta di racconti di Poe, lessi per curiosità Il Gatto Nero, poi passai a il cuore rivelatore e subito di seguito La maschera della morte rossa. Quel giorno capii due cose: che amavo leggere e che non ero poi così coraggioso.
7. Le tue letture.
D: Quali sono i libri o gli autori che ti hanno formato come scrittore?
R: Come tutti quelli che amano leggere, leggo di tutto, libri impegnati, libri leggeri, libri di genere e saggistica (quest’ultima soprattutto per ricerca, quando scrivo). Ma se parliamo di autori che mi hanno formato, quelli che sento più vicini sono sicuramente: Chuck Palahniuk (ogni volta devo andarmi a rivedere come si scrive) in particolare Fight Club, Soffocare, Ninna Nanna, Rabbia e Invisible Monsters, poi Joe Lansdale, soprattutto Una notte al drive-in e la serie di Hap & Leonard. Amo Bukowski, King e Poe, ma anche Ammanniti, Dazieri e Carofiglio. Sono sicuramente stato formato anche da Graphic Novel e fumetti, sono cresciuto con Dylan Dog e ho una passione smodata per Garth Ennis, Frank Miller, Neil Gaiman e perché no, Zerocalcare.
8. Sconsigli da autore.
D: Hai capito bene. Quali sono i tuoi s-consigli per chi vorrebbe pubblicare per la prima volta?
R: Non avere fretta, né quando scrivi, né quando cerchi di farti pubblicare, te lo dice uno che ha cominciato questo romanzo 5 anni fa, lo ha finito 2 anni fa, ed è stato pubblicato ora. Non ti accontentare mai. Se un capitolo ti sembra solo “decente” probabilmente fa proprio schifo. Non affidarti mai completamente al giudizio di parenti e amici, sono tutti in buona fede, sono convinti di essere oggettivi, ma non lo sono, ti vogliono bene e inevitabilmente arricchiranno ciò che leggono con quello che conoscono di te. Fai leggere i tuoi lavori a qualcuno che conosci poco, meglio se è qualcuno che un po’ ti odia. Non accettare consigli da uno come me, leggi libri sulla scrittura, ce ne sono di ottimi e con ottimi suggerimenti. Anzi meglio, se puoi trova una buona scuola, oltre ad avere gente del mestiere a disposizione, potrai confrontarti con persone con la tua stessa passione.
9. E poi.
D: Quali sono i tuoi progetti futuri?
R: Sto lavorando a un nuovo romanzo da un po’. L’ho già ricominciato tre volte e tre volte è diventata una storia del tutto diversa. Vorrei rimanere nell’universo di La ragazza che non sapeva piangere, dove il sovrannaturale sembra non esistere, ma sotto sotto, rimane il dubbio al lettore che forse non è tutto veramente così naturale. Sto studiando Storia notturna di Carlo Ginzburg, un bel trattato sull’inquisizione in Europa, allo scopo di sviluppare un’ambientazione basata sulla mitologia di quel tipo di credenze. Almeno per oggi è così, domani vedremo.
Grazie per il tuo intervento, Massimiliano, e in bocca al lupo per tutto.
(Daniele Picciuti)