Incontro con Gabriele Piretti: orrore e ironia in salsa romana

Ciao e benvenuto nella rubrica Il gatto a nove code.
Pronto? Cominciamo.

1. Il concepimento.
Come è nato Creature immonde da dimensioni oscure?

R: Il romanzo è nato di notte, durante le lunghissime notti passate a lavorare in un circolo Arci, Belleville, che avevo aperto con due amici in zona Pigneto, a Roma. La storia iniziava con una telefonata di un tizio dal nome assurdo, il Mangiauomo. Avevo in mente di scrivere un noir alla romana, ma poi, come spesso mi succede – poiché non pianifico – il racconto ha come preso vita e hanno fatto irruzione delle cose strane: creature, dimensioni oscure, libri maledetti, portali. Ma tutto avvolto da una patina di comicità e disincanto. In questo senso, credo che Roma si presti benissimo, perché la sua cultura è impregnata di cinismo e sarcasmo. L’esistenza del “romano” è segnata da lutti calcistici, giornate passate a friggersi il cervello in mezzo al traffico e a fare salti mortali tra pantegane e sacchi dell’immondizia che strabordano dai cassonetti, in una città che vive una decadenza iniziata nel 476 d.C. e mai del tutto conclusa. Tutto questo, a mio avviso, lo ha portato a sviluppare un prodigioso fatalismo pessimista, che traspare in molti dei dialoghi e delle situazioni comiche di Creature immonde da dimensioni oscure.

2. La scrittura.
In che modo sei arrivato a dare al romanzo la sua struttura definitiva?

R: Sarei molto felice di poter dire di essere uno di quegli scrittori che organizzano una trama, studiano i personaggi e utilizzano strutture consolidate. Come ho già accennato, non alberga in me lo spirito della pianificazione. Quindi il romanzo si è delineato attraverso spunti e trovate, intuizioni, immagini che ogni tanto mi balenavano nella testa e che mi hanno fatto prendere certe strade. In fondo, in Creature immonde da dimensioni oscure la sostanza è il situazionismo: il modo in cui i personaggi, che sono dei trentenni di sesso maschile, affrontano le situazioni più assurde, con tutto il sarcasmo, il cinismo e la disillusione che sono alcuni dei tratti distintivi della cultura romana, come dicevo prima. Retrospettivamente, mi sono chiesto il motivo per cui manchino quasi del tutto figure femminili. Per molto tempo mi sono fustigato, pensando di non essere in grado di trattare il mondo femminile, ma poi mi sono reso conto che il romanzo e le idee da cui è nato affondavano le radici in un periodo della mia vita in cui frequentavo quasi solo uomini e passavo i venerdì sera a giocare a Dungeons & Dragons. Un appuntamento fisso a Morena, a casa di un mio amico: ci caricavamo di birre e vini di pessima qualità, pizza da asporto e fino alle cinque di mattina facevamo finta di essere eroi. Non lontano da lì, c’era un’altra casa che frequentavo spesso in quegli anni, quella di mio cugino Giona, il cui gruppo di amici – e in generale le atmosfere arcane di Roma Sud – sono stati una fonte inesauribile di idee e personaggi.

3. I personaggi.
Parlaci di come hai gestito i personaggi… o forse loro hanno gestito te?

R: Diego, il protagonista, è un trentenne in cui si possono rispecchiare molti ragazzi della mia generazione. È un tipo malinconico, che affronta la vita come se fosse un compito che si deve fare, ma è leale e ama prendersi per il culo, anche se lo fa per un’insicurezza di fondo. Zollo è uscito fuori di getto: si è presentato subito così com’è, forte e duro come una roccia, per niente diplomatico e sempre pronto a sferrare un calcio circolare. Mentre Lazzaro è forse una versione bukowskiana del prete di Brain dead di Peter Jackson. I mostri restano molto sullo sfondo dal punto di vista caratteriale, soprattutto il villain, la cui storia, forse, non è ancora finita. Il medico Marlon è una rappresentazione caricaturale, che forse ha qualche remota origine in un personaggio come Lord Casco di Balle Spaziali e nel giudice di Fabrizio de André. Sono quasi certo che mi abbiano in qualche modo gestito anche loro. Ma penso sia uno degli aspetti più affascinanti della fantasia, un tratto essenziale di quella che Tolkien chiamava sub-creazione. Una storia prende vita e, nella maggior parte dei casi, come mi pare abbia detto qualcuno, un libro è più intelligente di chi lo ha scritto.

4. Autocritica.
Se dovessi dare un giudizio al tuo romanzo da lettore, che giudizio sarebbe?

R: Scrivo per divertirmi, quindi tendo a scrivere cosa che mi sarebbe piaciuto leggere. Non so se sono in grado di estraniarmi a tal punto da poter dare un giudizio disinteressato sul romanzo, ma quando lo rileggo la tentazione di modificare qualcosa c’è sempre. Forse, tornando indietro, avrei reso un po’ più articolata l’ultima parte. Comunque, è fisiologico voler modificare ciò che si scrive, soprattutto quando ci si rilegge dopo un po’ di tempo. Non credo esista una versione definitiva di un romanzo: possiamo solo fermarci a un punto ottimale, quello che appaga un minimo la nostra ricerca. Almeno, è quello che sento di poter dire di tutti quelli che non sono Dostoevskij, Stendhal o Mann, per fare solo qualche nome. Da qualche tempo faccio karate ed è un po’ la stessa cosa. La pratica e l’esecuzione di un kata sono la continua ricerca di una perfezione che esiste solo come nell’astratto mondo delle idee.

5. Il pubblico.
Hai avuto un riscontro critico da parte del pubblico?

R: Nel mio piccolo, devo dire che il giudizio è stato positivo, in alcuni casi anche molto positivo. Sono stato molto felice di leggere e ascoltare recensioni che hanno colto il senso di un romanzo che vuole soprattutto divertire, nonostante contenga anche riflessioni e cerchi, a suo modo, di far percepire il senso di perdita del mondo che un po’ si vive oggi. Non è facile, essendo comunque un romanzo di nicchia. Anzi, forse di nicchia nella nicchia, visto che unisce il comico all’horror.

6. L’orrore.
Cos’è per te l’orrore?

R: Sono due le traiettorie dell’orrore che più mi hanno influenzato e inquietato, da sempre, e che in età matura ho poi ricondotto a due grandi narrazioni. Da un lato, l’idea lovecraftiana della totale indifferenza dell’universo nei confronti della specie umana. L’orrore cosmico dello scrittore di Providence credo sia la più lucida elaborazione del sentimento di vuoto e di nulla che, sotto sotto, percepiamo un po’ tutti, anche se le sovrastrutture culturali e religiose cercano di relegarlo negli abissi del pensiero o negli intricati dungeons dell’inconscio. Dall’altro, il “perturbante” freudiano, con le sue variegate evoluzioni: la sensazione del fuori-posto, del domestico che muta in alieno sono elementi centrali della mia idea di orrore. In questo senso, ritengo esemplare la scena di Shining in cui Shelley Duvall corre sulle scale e scorge in una stanza alla fine del corridoio i due uomini, uno in smoking, l’altro con indosso la maschera da orso, che la fissano. Credo sia senza dubbio la scena più disturbante del film, quella che ti fa “rizzare i peli”, che è esattamente uno dei significati del verbo latino horrere. Recenti letture – The Weird and the Eerie di Mark Fisher e Tra le ceneri di questo pianeta, saggio di Eugene Thacker sulla filosofia dell’orrore – mi hanno suggerito molti spunti nell’elaborazione di alcune delle cose su cui sto lavorando.

7. Le tue letture.
Quali sono i libri o gli autori che ti hanno formato come scrittore?

R: Leggo molto e compro molti libri – forse troppi – che ammasso sulla libreria ormai stracolma. Ho gusti variegati e potremmo dire che “leggo di tutto”, un’espressione che approvo per la lettura, meno per la musica. Da ragazzo leggevo molto fantasy, cosa che faccio tuttora, anche se ne resto spesso insoddisfatto. Mi piacciono molto la fantascienza e l’horror, e di recente ho trovato magnifica la trilogia di Cixin Liu, un’epopea che più di una volta mi ha spaventato a morte. In questi ultimi anni ho letto moltissima letteratura anglosassone, soprattutto americana: P. Roth e Franzen sono scrittori che idolatro. Riguardo alle influenze sul mio stile, penso di essere fortemente debitore a Joe Lansdale per la sua capacità di unire horror, grottesco e comicità. Al netto di un calo fisiologico negli ultimi anni, lo considero sovrumano nell’uso comico della similitudine e nella costruzione dei dialoghi. Altri debiti li ho contratti con alcuni scrittori letti in gioventù, come John Fante, Walter Mosley, ma soprattutto Charles Bukowski: una scrittura essenziale, ma allo stesso tempo potente ed evocativa. È quello che provo – sottolineo provo – a fare anche io.

8. Sconsigli da autore.
Hai capito bene. Quali sono i tuoi s-consigli per chi vorrebbe pubblicare per la prima volta?

R: Scrivere un romanzo implica, quasi sempre, la speranza che venga letto da qualcuno. Negli ultimi anni, soprattutto con la diffusione di internet e blog, tanta gente ha iniziato a scrivere e, in maniera un po’ meschina, molti hanno fatto leva sul narcisismo dello scrittore, proponendo pubblicazioni a pagamento. Se non si vuole cadere in trappole simili, la prima cosa da fare è informarsi su quali sono le case editrici che chiedono soldi per fare il loro lavoro, depennarle e proseguire. La seconda cosa che bisogna fare è indirizzare il proprio scritto a casa editrici che hanno una linea editoriale adatta al romanzo: non ha molto senso inviare un romanzo horror a una casa editrice che magari pubblica letteratura comica. Ci tengo a sottolinearlo, proprio perché io l’ho fatto e non è stata una bella idea: i rifiuti possono scoraggiare. In ultimo, consiglio di assicurarvi che il vostro scritto – che sia un romanzo, una raccolta o altro – piaccia davvero a chi vi propone di pubblicare.

9. E poi.
Quali sono i tuoi progetti futuri?

R: Sto scrivendo il seguito di Creature immonde da dimensioni oscure. Vado un po’ a rilento, perché è difficile ritagliarsi spazi di tempo adeguati. Ma sono molto soddisfatto di questa prima metà del romanzo. Ai vecchi personaggi, si aggiungono nuovi eroi rocamboleschi e ridicoli, come Millepippe (nome rubato a un racconto di mio cugino Walter), un aiuto falegname di Rocca di Papa che se ne va in giro vestito da barbaro. La storia ha tinte molto più fosche del primo romanzo. Il titolo provvisorio è A che punto siamo con la fine del mondo? Oltre a questo filone, ho alcune idee che mi frullano per la testa da un po’ di tempo. Mi piacerebbe trattare un’icona horror in chiave romana. E no, non è né lo zombie né il vampiro. Anche il post-apocalittico è un tema che mi piacerebbe affrontare, prima o poi.

Grazie per il tuo intervento e in bocca al lupo per tutto.

(Daniele Picciuti)