Murderdolls – Il Rock è morto… e ora è uno zombie

Se questo album fosse un film, sarebbe un truculento B-movie horror farcito di violenza gratuita, grondante sangue finto di pessima qualità e affogato in generose dosi di macabra ironia. Il paragone con il cinema è particolarmente calzante, in quanto i Murderdolls (e lo notiamo già dal nome) hanno come fonte d’ispirazione i cult horror dei tempi andati e si divertono a usare la passione cinematografica come base di partenza per la loro musica. Il risultato è un album difficile da definire, figlio degenere di horror-punk, metal e glam-rock, nonché nipote sboccato di band come Misfits e Alice Cooper. I Murderdolls però vanno oltre quanto fatto dai loro padri spirituali, prendendo quelle stesse idee, rimpinzandole di mutageni e metanfetamine, e trasformandole in un mostro famelico con un perenne e sinistro ghigno stampato in faccia.
Torniamo indietro fino al 2002, anno di uscita di Beyond The Valley of Murdedolls, e inseriamo il disco nel nostro lettore CD (o c’erano già i lettori mp3?). Le prime note sono di musica classica (come?!), ma non vi preoccupate, il tutto viene malamente interrotto da una sniffata, seguita da risate e imprecazioni su cui si innesta una batteria prepotente, il suono gasato dei tamburi spazza via qualsiasi indugio e ci proietta in Slit my wrist, strofe veloci cantante dalla roca voce da zombie di Wednesday 13, il cantante, nonché autore della maggior parte dei brani. Composizioni nate perlopiù dalla mente degenere della sua precedente band, i Frankenstein Drag Queens From Planet 13 e ri-registrate per i Murderdolls. Le sue strofe schizzoidi conducono a un ritornello semplice e brutale, da urlare a squarciagola. Una manciata di secondi più avanti il bridge dà un attimo di tregua, e una stupidissima rima “Murder, murder, yes indeed/ K.I.L.L.I.N.G” ci dà un’idea del tenore dei testi che incontreremo da qui in avanti.
Il brano d’apertura introduce quella che sarà una feroce discesa giù per quindici brani (venti nella versione estesa) uno più scorretto e brutale dell’altro. Abbiamo un inno ai cult horror, Dead in Hollywood. Abbiamo una dichiarazione d’amore (letterale) alla ragazzina posseduta dell’Esorcista, Love at first fright e infine raggiungiamo People hate me dove l’ignoranza punk lascia spazio a un tono più cupo e metal. Già, perché nella band è presente un chitarrista d’eccezione che arriva dritto da una delle band più conosciute del panorama metal, o sarebbe meglio dire arrivava, dato che nel frattempo le cose sono cambiate. Stiamo parlando di Joey Jordison. Ex batterista degli Slipknot, che qui suona la chitarra e fa coppia con Wednesday 13 come fossero due fratelli separati alla nascita. People hate me è un inno nichilista, aggressivo e scanzonato allo stesso tempo. I hate you and you hate me/ So stand in line motherfuckers/ don’t waste my time. Versione moderna di quel sex, drugs and rock’n’roll che ormai suona quasi anacronistico, ma che, all’epoca, i nostri declamavano a gran voce e con spudorato orgoglio.
Con She was a teenage zombie si torna al puro sound Murdedolls. Riff di chitarra alla Ramones unita a voce rauca e distorta. Neanche tre minuti di durata per un brano semplicissimo, diretto e malsano al punto giusto; in cui ci viene raccontata la storia d’amore tra un ragazzo afflitto da noia esistenziale e la meravigliosa zombie che gli ha rubato il cuore.
L’amore malato in vena orrorifica sembra quasi diventare una tematica centrale quando parte la marcia nuziale del brano successivo, ma non temete, anche questa volta gli archi vengono risucchiati da un cupo accompagnamento di basso. Die my Bride (qualcuno ha detto Misfits?) è un altro violento assalto alla morale comune, dove le promesse di matrimonio vengono trasformate in cruente parole d’odio: I’d rather cut you than the wedding cake/An’ your bloody guts on my rented tux/An’ I do, I do, I do wanna kill you/Till death do us part, I’ll tear us apart.

Il brano successivo, Graverobbing U.S.A. cambia decisamente registro e ci racconta la storia di un gruppo di scava-tombe interstellari che gira per gli Stati Uniti a disseppellire cadaveri. Per quale motivo? Semplice, perché è divertente. Come questo folle brano horror-punk che sarà impossibile togliervi dalla testa.

Il resto dell’album si destreggia sullo stesso stile musicale e sulle stesse tematiche. Omicidi brutali? Eccovi Kill miss America. Depressione? Eccovi Dress to depress. Suicidio? Eccovi Crash Crash. Ogni brano, per quanto semplice, è sempre un piccolo mondo a se stante che cita, distorce e tritura concept musicali e cinematografici per farne macabre gemme imperdibili dagli amanti del genere.

Un’ultima citazione degna di nota? Il brano di chiusura dell’extendend edition. I love to say fuck, un liberatorio inno alla parolaccia più amata dagli americani che risveglierà il vostro adolescenziale spirito ribelle, come del resto farà tutto questo disco. Insomma, abbandonate la sofisticatezza, abbandonate le buone maniere e alzate i Murderdolls a tutto volume. Non ve ne pentirete!

(Daniele Tredici)

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