L’accuratezza di Federica Maccioni
Per la rubrica Il gatto a nove code incontriamo Federica Maccioni, autrice per Nero Press Edizioni del libro in digitale Segreti della città vecchia.
1. Segreti della Città Vecchia gode di un’accurata ricostruzione d’epoca. In che modo ti sei documentata?
F: Il genere storico è sempre stato il mio preferito. Mi emoziona ricostruire i particolari di epoche passate, cercare tutto quello che potrebbe rendere credibile una qualunque vicenda ambientata in tempi più o meno remoti è sempre stata una delle fatiche più gratificanti del mio scrivere. La documentazione è una delle attività a cui attribuisco maggiore importanza, per uno scrittore, sia essa in ambito storico, scientifico, geografico, o qualsiasi altro campo. Sono arrivata al punto di visualizzare foto da satellite di particolari aree geografiche per sapere se fosse possibile ambientarvi certe scene e in che modo, oppure contattare autorità municipali e assessori di alcune città per avere notizie sulla disposizione delle vie e delle piazze, girovagare sui siti comunali su cui potessero trovarsi foto d’epoca, o finanche contattare associazioni private affinché visionassero prime stesure per controllare di non aver scritto cose errate o inventate. Per esempio, in Segreti della Città Vecchia menziono di striscio le panchine della Piazza galleggiante dell’architetto Piano. Ebbene, quando mi resi conto di non averle descritte come girate nel senso in cui sono nella realtà, non me ne feci una ragione fino a che non corressi il passo incriminato.
Feci persino una puntata al Porto Antico per verificare se i miei ricordi fossero esatti. Più d’una puntata, in realtà…
Questa minuzia vale anche per la documentazione storica. Compulso tutti i siti compulsabili fino a quando non riesco a essere soddisfatta, e mi sento in grado di scrivere le cose con la minore approssimazione possibile. Quindi, Google è il mio principale strumento di lavoro. Eppure, non ci crederai, ma oltre alle ricerche su Google, delle quali avrai capito che sono una vera fanatica, al punto da cercare persino i nomi dei capi partigiani storici (nella mia zona però gioco in casa, ci sono un sacco di memorie personali che girano su carta e persino ciclostile, e a voce dagli anziani…), ho fatto parlare e ascoltato gli anziani stessi. L’aereo che faceva il giro a orario e buttava una singola bomba tanto per far vedere che aveva fatto il suo lavoro, è presente nei racconti di moltissimi anziani della zona. Per primo me ne parlò un mio vicino di casa; poi, grazie al fatto che per lavoro incontro molti anziani, tanto per fare conversazione mi è capitato di chiedere se se ne ricordavano, e la risposta è stata unanimemente affermativa. Lo chiamavano Pippo, proprio come nel racconto. Anche la strage nella piazza è avvenuta davvero, sebbene non a Novi ma in un paese limitrofo, e l’anziano vicino di casa di cui sopra me la raccontò proprio come l’ho descritta nel racconto, con i fascisti che giravano attorno e poi requisirono lui e altri ragazzini, che erano scampati, per raccogliere i morti e gettarli sul cassone di un camion. Lui aveva 14 anni. Mi raccontò che insieme a un amico presero un cadavere uno per le gambe e uno per le braccia e, quando lo sollevarono, il morto si rivelò spezzato in due all’altezza dell’addome. Mi colpì il distacco con cui raccontava una cosa tanto orribile… Fu lui a raccontarmi, fra l’altro, che il giorno della strage la piazza era così affollata per via del gran numero di genovesi che venivano nella nostra zona perché il pane, alla borsa nera, era più a buon mercato. Questo mi ispirò la figura del panettiere che speculava sul prezzo del pane a Genova, il quale è interamente frutto della mia fantasia, ma mi pareva ci stesse bene in un ambito simile. L’altro modo in cui mi sono documentata è stato la presa diretta, sono andata nei vicoli, quelli “non addomesticati” e mi sono anche persa. Non sapevo come tornare alla stazione, finché non ho sentito parlare italiano in un negozio: allora ho chiesto indicazioni. Ho scritto alcuni passaggi seduta su un gradino con il portatile sulle ginocchia. Questo perché amo visceralmente Genova e i suoi vicoli, non so se sono riuscita a far trasparire questo amore dalle mie righe. Ma anni fa, quando per lavoro mi trasferii per due anni a Genova, vissi in uno stato di puro innamoramento per questa città, e ancora adesso scendere dal treno e avviarmi per “via Balbi inondata di sole” (tanto per autocitarmi) mi provoca lo stesso batticuore di un primo appuntamento galante… è una città meravigliosa, l’adoro con tutta me stessa.
2. Il tema principale sembra essere quello dei segreti di famiglia, molto utilizzato in letteratura. Ti ha ispirato qualche lettura oppure da dove ti è venuta l’idea?
F: Veramente non saprei… avevo letto su internet di una vecchia che nella Palermo del ‘700 faceva la killer su commissione, avvelenando le sue vittime con una mistura di aceto e arsenico usata per i pidocchi. Non ricordo come, poi, mi capitò per le mani il pdf del tomo alchemico citato nel racconto, e improvvisamente ebbi tutto il racconto completo dentro la testa, Genova compresa. Non posso dire di averci rimuginato su, in realtà la storia della vecchia killer ante-litteram mi stupì appena, ma non mi fece una grandissima impressione a livello conscio. Evidentemente continuò a lavorare sottoterra per un po’ senza che me ne rendessi conto, così come la storia dei genovesi che salivano in Basso Piemonte per la borsa nera, il Pippo, la strage nella piazza e tutto il resto. Dopo, una volta avuta in mente la storia, si trattò solo di scriverla. Il fatto che in quel periodo frequentassi Genova per accompagnare mio figlio, che vi aveva alcuni impegni, e poi dovessi aspettarlo alcune ora girovagando per la città, e il fatto di lavorare in turno con un collega genovese purosangue (Aldo Rovegno, citato nei ringraziamenti), credo che abbiano avuto la loro influenza sulla genesi del racconto. Di sicuro un qualche influsso esterno nell’idea della trama c’è stato, ma non sono in grado di identificarlo razionalmente.
3. Il tuo libro sta andando fortissimo su Kobo books. Da settimane è nella top 100 dei gialli storici (e ciclicamente torna in top 50 con puntate nella top 20). Ritieni che il successo sia dovuto a una particolare scelta felice del genere letterario? Il giallo storico è particolarmente in voga oggi.
F: Anche qui, non saprei dare una risposta. Non sapevo che il giallo storico fosse tanto popolare, ed è una vera sorpresa il fatto che Segreti dell Città Vecchia “tiri” tanto. A dirla tutta, è uno dei miei racconti su cui facevo meno conto, ma si vede che la persona meno affidabile in questo senso è proprio l’autore.
Sono davvero emozionata nel leggere questi dati di vendita, e ringrazio tutto lo staff di Nero Cafè per aver creduto in questo racconto, mi ripeterò ma è una vera sorpresa per me.
Il motivo di questo successo non saprei proprio indicarlo. Posso solo pensare con un certo sollievo che, visto che lo legge tanta gente, ho fatto bene a cercare di scrivere le cose in modo più preciso possibile, visto che aumenta la probabilità di persone più informate di me che potrebbero cogliermi in castagna… e non è detto che non mi ci coglieranno. Scherzi a parte, non sono proprio in grado di rispondere a questa domanda. Forse alle persone piace immaginare segreti nelle vicende più quotidiane; affascina l’idea di una normalità apparente, di una tranquillità che in realtà cela, appunto, segreti oscuri.
Se poi questa dicotomia si trova nell’ambiente noto, rassicurante di una città meravigliosa come Genova e il suo entroterra virtuale dal Basso Piemonte, il fascino è ancora più intenso. Chissà?
4. Parliamo dei veleni. Dell’alchimia. Temi affrontati nel tuo libro. Hai una passione particolare per questi temi?
F: In realtà no. Il tutto è nato, come dicevo, dal collegamento con la vecchia killer palermitana e il casuale reperto di quel testo alchemico ottocentesco che cito nel racconto. Non mi sono mai interessata più di tanto di veleni. Preferisco di gran lunga gli stili di vita e le tattiche di battaglia dell’antica Grecia, se devo essere sincera.
Poi però, una volta nata l’idea, mi sono documentata sui sintomi di un avvelenamento da arsenico, ho stressato i medici del mio reparto con domande tecniche, ho cercato tutto il reperibile sull’avvelenamento da questa sostanza, fino a che non mi sono sentita in grado di scrivere qualcosa di verosimile entro i limiti di un’approssimazione che mi è parsa accettabile. Anche l’alchimia non mi ha mai coinvolta in modo particolare, anche se la stanza della vecchia zia, con i banconi di piastrelline e tutto il resto, mi si è presentata alla mente tutta intera così come la descrivo nel racconto. Sono ovviamente andata a cercare su Google le foto delle varie ampolle e provette, ma credo che questo lo immaginassi già…
5. L’orrore per Federica Maccioni.
F: Guarda, ti dirò che il soprannaturale non mi spaventa. Non hanno grande presa su di me i racconti horror. L’orrore lo vedo molto di più come presente nella realtà, nel fatto che ci siano persone in grado di torturare e uccidere in modi orribili i propri simili o gli animali. Mi ricordo che una volta ebbi uno scambio di idee semiserio con una nostra amica scrittrice di horror. Lei cercava di farmi entrare nell’atmosfera inquietante di un suo racconto, e mi chiedeva di immaginare che una notte la mia macchina avesse un guasto mentre percorrevo una strada solitaria in un bosco. Mi chiese: “non avresti paura dei rumori, delle ombre?”, e io: “No. Anzi, un bosco di notte l’ho sempre trovato rassicurante” (è la verità. Mi è capitato, negli anni in cui facevo alpinismo, di sedermi nei boschi che qualche volta circondano i rifugi. È una delle esperienze più rilassanti che riesco a immaginare). E lei: “Ma non avresti paura di nulla in un caso simile?'” Le risposi: “Sì, certo che l’avrei. Avrei il terrore che arrivasse un malintenzionato e approfittasse della situazione malmenandomi o violentandomi”. Ecco, questo è l’orrore per me. Ho paura dei vivi, non dei morti.
6. Progetti futuri?
F: sto scrivendo a spizzichi e bocconi un racconto ambientato nell’Ade ai giorni nostri. Spero di venirne a capo, ma ti farò sapere.
7. Un titolo Nero Press che consiglieresti.
F: Mi è piaciuto tantissimo Salvanima di Simone Lega, che è e resta uno dei miei scrittori preferiti. Ma sto leggendo poco alla volta parecchi titoli e devo dire che non ne ho ancora trovato nessuno che non mi abbia coinvolta.
8. La domanda cattiva: un giallo (anche storico) che proprio non hai digerito.
F: Il giuramento di Grangé. Si basa su un assunto inverosimile, cioè il fatto che la terapia di un malato in terapia intensiva possa essere manipolata di nascosto da un medico esterno all’equipe, all’insaputa dell’equipe stessa, che bellamente si beve come un coma una sedazione farmacologica attuata dal medico esterno in questione. E, dicendo questo, sorvolo sul fatto che anche volendo essere magnanimi e tolleranti, una cosa come quella che descrive lui, attuata nel modo che dice lui, non è tecnicamente possibile per una questione di tempi di smaltimento fisiologici dei farmaci. Sorry, ma pur essendo Grangé un grandissimo maestro, qui secondo me ha davvero toppato… ahem… cosa dicevamo poco fa a proposito della documentazione? Ecco, questo è un esempio lampante di documentazione carente, a mio modesto parere. Mi spiace ma dopo 14 anni di lavoro in rianimazione questa cosa mi ha davvero delusa, da parte sua. Senza questo escamotage sgonfiante, sarebbe stato veramente un grande thriller. Peccato davvero.
9. Cosa pensi dell’editoria italiana, oggi?
F: Con grande tristezza devo dire che ho l’impressione che sia in generale basata sul nepotismo, come molte cose in Italia. Non parlo delle piccole case editrici, ma delle grandi. Mi pare che le vendite e il battage pubblicitario non siano basati sul reale contenuto di un libro, ma su altri parametri più discutibili. Ho l’impressione che un libro venda non perchè è un buon libro, ma perchè tutti ne parlano. Mi sono lasciata convincere a leggere molti “fenomeni letterari” in questi anni, trovandovi dentro ben poco di quanto promesso. E anzi, somma delusione, il mio occhio critico di editor ha notato spesso alcune incongruenze che in molti casi mi avrebbero fatto partire di default il dito sul tasto dei commenti.
Cosa che non credo che un piccolo editore possa permettersi: un piccolo editore deve giocoforza difendersi da questi giganti di carta patinata pubblicando titoli di alta qualità. E in effetti, (parere personale, ovviamente), ho l’impressione che sia proprio quello che avviene. Peccato che il “grande pubblico” non lo sappia cogliere.
(Daniele Picciuti)