Incontro con Nanni Cristino: quando una storia nasce da un’immagine

Ciao e benvenuto nella rubrica Il gatto a nove code.
Pronto? Cominciamo.

1. Il concepimento.
D: Come è nato Di notte arrivano i lupi?

R: Tutti i miei romanzi prendono forma da un’immagine iniziale insolita, un elemento che perturba la realtà quotidiana e possiede il potenziale per innescare una storia. Nel caso de Di notte arrivano i lupi, l’immagine che mi girava in testa era quella di una Louboutin rossa che affiora tra la neve; una macchia di colore in mezzo a una distesa candida, algida. Mi è subito venuta in mente, come sfondo della vicenda, una Torino gelida e innevata: un paesaggio desolato, freddo, immobile, che nasconde cose, azioni e pensieri sotto una coltre bianca. Mi interessava, poi, intrecciare alla storia più propriamente «gialla» un elemento oscuro, quasi sovrannaturale, capace di enfatizzare la dimensione del mistero e, nello stesso tempo, di servire da metafora del male: questo elemento è rappresentato dai lupi che prima compaiono sulle colline che circondano Torino e poi, lentamente, scendono verso la città. Proprio facendo ricerche sui lupi, mi sono imbattuto in un aforisma di Matt Groening, l’autore dei Simpson, dal quale ho poi tratto il titolo del romanzo. L’aforisma è una definizione dell’amore e recita: «L’amore è una motoslitta che corre all’impazzata nella tundra, poi d’improvviso fa una capriola e si ribalta, bloccandoti sotto. Di notte arrivano i lupi».

2. La scrittura.
D: In che modo sei arrivato a dare al romanzo la sua struttura definitiva?

R: Quando progetto la trama di un giallo, metto dapprima a fuoco i meccanismi di fondo della storia: che cosa muove il colpevole, come agisce, quali saranno le false piste e quali gli indizi che porteranno alla soluzione del caso. Contemporaneamente, delineo i personaggi nelle loro caratteristiche principali, definendo il loro ruolo nella vicenda. Fatto questo, butto giù una sorta di piano dell’opera, uno schema dei principali eventi in ordine cronologico. Sovente – ed è successo così anche con questo romanzo – scrivo l’incipit (una decina di pagine all’incirca) e poi lo lascio… riposare per qualche settimana. Quando lo riprendo, cerco di rileggerlo nel modo più neutro possibile e, se mi convince ancora, parto con la stesura del resto. La struttura progettata, tuttavia, non rimane mai rigida e immutabile: anche l’intreccio in Di notte arrivano i lupi ha subito modifiche in corso d’opera. Le storie sovente fanno così. Prendono direzioni che non avevi previsto e ti tocca rincorrerle, riacchiapparle e scendere a patti con loro… Una cosa, però, di questo romanzo, mi è stata chiara fin dall’inizio: la scena finale. L’ho scritta subito dopo aver elaborato l’incipit e non è più cambiata.

3. I personaggi.
D: Parlaci di come hai gestito i personaggi… o forse loro hanno gestito te?

R: Come ho detto prima, a un certo punto la storia che avevo in mente ha imboccato svolte e diramazioni che non avevo pianificato. Immagino che la colpa sia proprio dei personaggi. Fosco Molinari, l’investigatore privato (e contrabbassista) protagonista della vicenda, ha preteso che si parlasse maggiormente del suo vissuto e della “sua” musica, il jazz; Sergio Larini, uno dei componenti del gruppo in terapia dalla psicologa Claudia Falconeri (gruppo di cui faceva parte la vittima – la prima, vittima: nel romanzo ve ne sono anche altre…), si è ritagliato una parte più rilevante del previsto; il vecchio Ascanio, un amico di Fosco, si è intromesso a forza nella storia portando in primo piano il suo scontro con i lupi e le sue bislacche meditazioni sulla vita…
Credo, inoltre, che questi personaggi, ora che aver preso vita, non ne vogliano sapere di scomparire. Chiedono di vivere ancora, di tornare in scena. Mi toccherà accontentarli, prima o poi.

4. Autocritica.
D: Se dovessi dare un giudizio al tuo romanzo da lettore, che giudizio sarebbe?

Questa è la domanda più difficile a cui rispondere. Sono l’oste, il mio vino è sempre buono… Quando, dopo aver terminato il romanzo e averlo lasciato decantare, l’ho riletto, mi è sembrato comunque un buon lavoro. Credo possieda un buon ritmo, un’atmosfera intrigante; ha come punti di forza i dialoghi e un protagonista abbastanza efficace, un antieroe pieno di incertezze, dubbi, problemi, che guarda il mondo con grande disincanto ma è ancora capace di slanci e passioni. Ho lavorato molto sulla conclusione, perché mi sono accorto che nei romanzi precedenti ho avuto la tendenza ad accelerare un po’ troppo la narrazione nella parte finale. Spero di esserci riuscito, ma forse potevo fare ancora meglio.

5. Il pubblico.
D: Hai avuto un riscontro critico da parte del pubblico?

R: Di notte arrivano i lupi è stato davvero bene accolto, più di quanto mi aspettassi. Ha beneficiato di una bella recensione su Tuttolibri – l’inserto settimanale de La Stampa dedicato ai libri – che ha permesso al romanzo di raggiungere parecchi lettori che non mi conoscevano. Inoltre si è aggiudicato il terzo posto al premio letterario Giallo Garda 2021, una vetrina importante per i libri di genere giallo e thriller.

6. L’orrore.
D: Cos’è per te l’orrore?

R: Per me l’orrore è qualcosa di sfumato, di indiretto. Ha a che fare con la percezione della… banalità del male, con la scoperta che esso non rappresenta un dato eccezionale all’interno dell’agire umano, bensì può toccare chiunque. Apprendere che anche le persone più comuni e insospettabili possono deragliare e commettere un crimine, spinte da passione, interesse, desiderio di vendetta: questo per me è il vero orrore, in quanto scardina le consuete sicurezze, le quiete apparenze cui ci aggrappiamo, la nostra rappresentazione di un mondo ordinato che tende al bene e in cui il male è frutto soltanto di devianza, mostruosità, follia.

È questo genere di orrore che cerco di far emergere nei miei gialli: un genere che mi ha sempre affascinato come lettore, forse anche per via della mia formazione di storico. Mi spiego: trovo, nel procedimento di indagine poliziesca, una somiglianza con il processo dell’indagine storica. In entrambi i casi si tratta di estrarre, dall’enorme massa degli eventi, quei fatti che, messi in relazione, acquistano un senso e permettono una spiegazione dell’accaduto.

7. Le tue letture.
D: Quali sono i libri o gli autori che ti hanno formato come scrittore?

R: Per quanto riguarda il genere giallo – senza citare i grandi classici – i miei autori preferiti, che in qualche maniera senz’altro mi hanno influenzato, sono soprattutto francesi: Fred Vargas, Jean-Claude Izzo, Michel Bussi, Pierre Lemaitre. Più in generale, ho amato molto i libri di Julio Cortázar, José Saramago, Umberto Eco e, più di recente, i romanzi dello svedese Niklas Natt Ott Dag (1793, 1794).

8. Sconsigli da autore.
D: Hai capito bene. Quali sono i tuoi s-consigli per chi vorrebbe pubblicare per la prima volta?

R: Il percorso per arrivare alla pubblicazione non è semplice. Bisogna armarsi di pazienza, non perdere la fiducia davanti ai rifiuti e… evitare alcune trappole. Mai rivolgersi a pseudo editori a pagamento (ce ne sono parecchi), che chiedono un contributo per la pubblicazione e, di solito, una volta incassato il guiderdone, stampano il libro e lo abbandonano al loro destino. Evitare anche certi altri editori che, pur non chiedendo denaro all’autore, mirano essenzialmente a guadagnare vendendo un certo numero di copie all’autore stesso (talvolta anche ponendo tale acquisto come obbligatorio) e non hanno alcun interesse a distribuire l’opera nelle librerie. La distribuzione è fondamentale: conviene sempre verificare che l’editore si serva di un distributore serio ed efficiente. Ultimo sconsiglio: a mio parere, meglio evitare anche il self-publishing, a meno che la vostra rete di amicizie o di social followers non sia davvero sterminata. Vedreste sì stampato il frutto del vostro duro lavoro, ma probabilmente saranno ben pochi quellI che lo acquisteranno e lo leggeranno.

9. E poi.
D: Quali sono i tuoi progetti futuri?

R: A fine anno dovrebbe uscire, ancora con Nero Press Edizioni, il mio nuovo romanzo, Posa la falce e danza. È un mistery/thriller ambientato a Parigi (città in cui ho vissuto e dove ancora trascorro parte del mio tempo) ispirato a un misterioso evento realmente accaduto a Strasburgo nel 1518: una inspiegabile epidemia di danza che, in quell’anno, ha colpito gli abitanti della città alsaziana. Ho immaginato che, ai giorni nostri, questa «piaga del ballo» si abbattesse sulla ville lumiére… Nel frattempo sto lavorando al prossimo romanzo, un thriller di ambientazione storica le cui vicende si svolgono nell’autunno del 1898 nella città di Chieri, nel Torinese.

Grazie per il tuo intervento e in bocca al lupo per tutto.

(Daniele Picciuti)