Per l’anno dei folli. Una preghiera (dialogo con Anne Sexton)
Il demone perverso dell’arte che non dorme. Alla deriva nella notte, come una nave al cui timone sta il Tarocco Numero Zero. Il Folle.
O Maria, fragile madre,
ascoltami, ascoltami adesso
anche se non so le tue parole.
Ho in mano il nero rosario, con il suo Cristo d’argento,
non è prediletto da Dio
perché io sono l’infedele. (1)
Poesia che diventa preghiera, lamento, tormentoso sgranare di parole.
Grani neri, pesanti dei versi che, investiti della qualità della doppia visione (vogliamo giocare col significato della parola? Verso… ma quale? E dove?), è sempre difficile dire se siano salvazione o tormento.
Ciascuno dei grani è tondo e duro tra le mie dita,
è un piccolo angelo nero.
O Maria, concedimi questa grazia,
concedimi di cambiare,
sebbene io sia brutta,
sommersa dal mio stesso passato,
dalla mia stessa follia. (2)
E ci si ostina a ficcare i denti in profondità nel corpo delle emozioni, a colpi di scalpello smontando parole per trovare, fra una lettera e l’altra, il senso oscuramente magico di una invocazione, che forse altro non è che mistero affidato alla carta.
Sempre più vicina
è l’ora della mia morte
mentre mi risistemo il volto, divento come prima
come prima dello sviluppo, con i capelli dritti. (3)
Eccola, la poeta, eccola a rimettere al suo posto la maschera caduta, che ha piegato di traverso l’espressione su un volto scomposto dall’intensità della magia che va compiendo. Mentre tra le mani rigira un rosario nero, acconciando la faccia per ritornare quella di prima, prima che la poesia sconquassasse la vita, la direzione segnata, la morale imposta.
Il rosario non è di granato e non è di pietra traslucida. È nero.
E anche se ci fosse la paura, e lo scandalo del vuoto di una consapevolezza più acuta della stessa realtà, non importa, adesso non importa. Perché c’è la poesia a sostenere, a sostenere quei grani che forse è indecente siano neri, e nelle mani di un’infedele.
Tutto ciò è morte.
Nella mente vi è un esile vicolo chiamato morte
ed io mi muovo lungo di esso come
nuotando nell’acqua.
Il mio corpo è inutile.
È disteso, accucciato come un cane sul tappeto.
Si è arreso. (4)
Il suono che sta a metà fra la nenia e la preghiera, né l’uno né l’altro, o forse solo l’eco scontrosa nel vicolo percorso a nuoto. Ché quando il demone della poesia chiama, allora neppure più i piedi sui quali camminare servono. Nei vicoli chiamati morte si nuota, col fiato sospeso perché l’acqua non riempia la bocca.
Qui non ci sono parole se non quelle apprese a metà,
l’Ave Maria e piena di grazia.
Ora sono entrata nell’anno senza parole.
Noto la strana entrata e l’esatto voltaggio.
Esistono senza parole. (5)
Ma io, Anne, non voglio leggerti guardandoti da oltre il parabrezza, mentre il gas riempie la tua macchina trascinandoti nel luogo del sonno, al confine col silenzio della non vita.
Non voglio leggerti così, interpretandoti già da prima, conoscendo il tuo destino, quello che ti sei scelta, scandalosamente esercitando il tuo libero arbitrio.
Voglio leggere i tuoi versi come se non ti conoscessi, ignara della tua vita e della tua morte.
E recitare la preghiera che hai scritto, rivolta a una “santa dello scandalo” (6), madre della grazia e dei folli.
Sono stata tagliata in due.
O Maria, apri le tue palpebre,
io sono nel dominio del silenzio,
nel regno della pazzia del sonno.
C’è sangue qui
Ed io l’ho mangiato.
O madre del grembo,
sono venuta qui soltanto per il sangue?
O piccola madre
Sono dentro i miei pensieri.
Sono rinchiusa nella casa sbagliata. (7)
Ascolta la poesia “Self in 1958” dalla voce di Anne Sexton.
(1) A. Sexton, Per l’anno dei folli, una preghiera, in L’estrosa abbondanza, Crocetti Editore, Milano, 1997, p. 67.
(2) Ibidem.
(3) Ivi, p. 69.
(4) Ibidem.
(5) Ibidem.
(6) Cfr. sull’argomento E. De Luca, Le sante dello scandalo, Casa editrice Giuntina, Firenze, 2011.
(7) Ivi, p. 71.
(Maria Carla Trapani)