Il male relativo di Stefano Caso
Le ali maligne.
Conoscete tutti il mito di Icaro, vero? Si tratta del primo aviatore che ignorò le regole basilari per un volo sicuro e che finì con il precipitare in mare. Nello specifico, il Top Gun dell’antica Grecia si fece prendere un po’ la mano e finì per avvicinarsi troppo al sole, dimenticando le ammonizioni di suo padre Dedalo, famoso per avere progettato un labirinto e le prime ali in piuma pura e cera per uso umano.
Le indicazioni erano poche e semplici; innanzitutto era meglio evitare di avvicinarsi al mare per non impregnarle con l’acqua e non salire troppo in quota per non fare sciogliere la cera. L’ebbrezza per il volo gli fece dimenticare tutto e così Icaro andò incontro al suo destino: un ammaraggio da cui non riuscì vivo.
La morale che ne viene fuori è tanto semplice quanto spaventosa: non ci si deve mai entusiasmare, si deve volare basso e si devono sempre seguire i consigli.
Come è facile immaginare, l’etica dell’obbedienza è l’unica condotta tollerata nei cittadini degli stati autoritari, ma il mio compito non è quello di occuparmi di politica. Sono un lettore e mi occupo di libri, quindi ho riesumato Icaro dalla memoria collettiva per un motivo più semplice.
In questi giorni ho avuto il piacere di leggere Il male relativo di Stefano Caso. Un romanzo “sporco e cattivo”, che mi ha fatto accostare l’idea del Bene a Icaro, perché tutti e due volano con ali di cera. “Quando provi a spiegare che il Bene è una tormentata conquista della buona volontà, un sacrificio che pochi sono disposti ad affrontare, un’imposizione che giunge dal mondo esterno. Mentre il male è intrinseco alla natura umana, all’esistenza di ognuno di noi, alla nostra indole primordiale.”
Nel mondo raffigurato tra le pagine del romanzo, per ogni uomo fare del bene è altrettanto rischioso come per Icaro volare vicino al sole. Quindi, meglio obbedire alla propria natura, mantenendo un basso profilo da “artigiano del crimine” e sopravvivere.
Il protagonista del romanzo è Tito, un cinquantenne che tira a campare spacciando droga, sfruttando la prostituzione e commettendo rapine nelle ville del circondario. Prima di questa vita, era Gianmaria Ghisolfi, un maestro elementare esonerato a causa dei maltrattamenti inflitti ai suoi allievi, che gli costarono una certificazione come disturbato mentale. Al suo fianco la Tati, una prostituta sieropositiva disposta a tutto, che annovera tra i suoi clienti soprattutto tossicodipendenti, squattrinati vari e ricconi in cerca di emozioni forti. Il socio di malaffare è Renato Felzi, in arte René, come Vallanzasca. Un uomo brutto, piccolo, con i denti marci e un naso che sembra un monumento, ma è anche l’unico vero amico di Tito e un esperto di sistemi di allarmi e sicurezza.
I due danno vita a una piccola impresa criminale, lontana dai giri grossi della mala organizzata, ma le rapine in villa li fanno finire nel mirino di una banda di rumeni, ogni volta accusati dalla polizia di essere gli esecutori. Incuranti delle minacce, architettano un altro colpo, ma qualcosa va storto e vengono ricercati per reati che non hanno commesso.
Nel tentativo di scoprire il colpevole, si trovano invischiati in una trama di inganni ordita da un misterioso personaggio che li vuole morti a ogni costo. Come scrivevo, questo è un romanzo “sporco e cattivo”. Si muove in una realtà squallida, popolata da prostitute, clienti disperati, tossicomani, extracomunitari, insospettabili pusher e molti altri elementi di un mondo in cui la disperazione è all’ordine del giorno.
Diamo il benvenuto a Stefano Caso e lo ringraziamo per la sua disponibilità.
Il male relativo è un romanzo “tosto”, di quelli che non lasciano spazio alla speranza. Da dove nasce Tito e cosa volevi comunicare al lettore?
Tito è nato in un periodo della mia vita intriso di rabbia, delusione e smarrimento. Forse ero nel mezzo del cammin della mia esistenza, non so. Ho però deciso di dare voce a quel malessere, incarnandolo nella figura di Tito Ghisolfi, malvivente di provincia che non si fa scrupoli nello sfruttare una prostituta sieropositiva o nel rapinare un extracomunitario o anche nel pestare a sangue un tossicodipendente “insolvente”. Tito è anche la voce narrante e ha avuto una funzione quasi catartica dentro di me. È un romanzo che ho praticamente “vomitato”: la prima bozza è stata scritta in poco più di un mese.
C’è molta “realtà” da terza pagina dei quotidiani, ma il punto di vista non è quello del cittadino rispettoso, ma quello più cinico del criminale.
Le persone come Tito non mi piacciono, sono individui privi di morale e con degli pseudo ideali che li guidano nella quotidianità. Tuttavia, ho imparato a non giudicare le vite altrui, visto che prima andrebbero vissute, poi – eventualmente – giudicate. E, comunque, penso che i vari Tito rappresentino il male minore della nostra società, quello più visibile e per certi versi gestibile. Il male più dannoso, invece, si annida nei meandri della politica corrotta e intrallazzata con la finanza e le grandi organizzazioni malavitose. Con Il male relativo volevo presentare un personaggio schifoso, cinico e insopportabile, per poi spingere il lettore a tifare per lui, quando lo vede intrappolato da un misterioso e implacabile nemico. E, dai primi commenti, credo di esserci riuscito.
Descrivi molto bene gli ambienti e le dinamiche del crimine. Come hai fatto a documentarti? Hai frequentato locali malfamati oppure sei andato a fare delle rapine in villa?
Mai fatto rapine in villa. Negli anni passati, però, ho avuto modo di conoscere persone, ambienti e situazioni che appartenevano a quel mondo. Un mondo grottesco, paradossale, quasi fumettistico. E l’ho voluto raccontare. Ci tengo a precisare, comunque, che ho la fedina penale pulitissima.
Nell’ambiente in cui si muove Tito, il male è una scelta naturale. Ma è sempre così, l’uomo è davvero cattivo? Non esiste la possibilità di essere buoni?
Credo che potenzialmente l’essere umano possa essere qualsiasi cosa: un criminale o un santo, un serial killer o un missionario dedito esclusivamente agli altri. Sono le circostanze della vita, il contesto in cui nasci e cresci, la famiglia e mille altri fattori a determinare ciò che sarai. In ogni caso, sono convinto che ognuno di noi possa “essere buono” soltanto conoscendo, accettando e integrando dentro di sé gli aspetti più negativi della propria natura umana. Solo così sarà in grado di gestirli nel rispetto di se stesso e degli altri.
I toni sono molto vicini al “pulp”, ma senza ricalcare quanto già visto oltreoceano. Durante la lettura ho riconosciuto una chiara matrice italiana che mi ha ricordato Scerbanenco.
Ti ringrazio. In effetti, Scerbanenco è un modello imprescindibile per molti scrittori di noir, così come, per quanto mi riguarda, mi piacciono altri autori italiani, come Loriano Macchiavelli, Sandrone Dazieri, Massimo Carlotto.
Quali sono gli autori che ti hanno influenzato maggiormente nella stesura di questo romanzo?
Quelli che ho citato prima, con l’aggiunta di Bukowski e di due “non scrittori” di noir: Stefano Benni e Fabrizio De André.
Dopo il romanzo D’amore non si muore e Princesa, il racconto contenuto nell’antologia Nessuna più, vuoi parlarci dei tuoi progetti futuri? Cosa bolle in pentola e quali novità hai in serbo per i tuoi lettori?
Ho già pronto il seguito di D’amore non si muore e ho da poco iniziato un noir con due nuovi protagonisti, una prostituta e un suo amico, entrambi cresciuti in un orfanotrofio. Sarà un noir in cui sperimenterò uno stile di scrittura molto particolare, grezzo, sporco, quasi disordinato.
Grazie a Stefano Caso a cui facciamo i nostri auguri di Buona Scrittura.
Il male relativo, di Stefano Caso. All’interno le tavole di Niccolò Pizzorno. goWare edizioni. € 4,99. Disponibile in formato eBook presso tutti gli store digitali.
(Mirko Giacchetti)