La violenza sulle donne: dire no è un diritto

Per una volta non tratteremo un caso di cronaca specifico, ma faremo un discorso più ampio.
Il 25 novembre è stata la giornata mondiale contro la violenza sulle donne, mentre il giorno dopo ricorreva il primo anniversario della scomparsa di Yara Gambirasio, due date che ci costringono di nuovo a trattare di femminicidio.

Ne abbiamo parlato più dettagliatamente nel numero 2 di Knife, qui ci interessa ricordare che per femminicidio si intende l’assassinio di una donna da parte di un uomo (più raramente di una donna) che l’ha scelta come vittima proprio in quanto appartenente al genere femminile. Sono compresi perciò gli omicidi conseguenti a violenza sessuale o domestica, ma esclusi quelli non riconducibili a un movente con forte connotazione sessuale, come per esempio l’eliminazione di una testimone durante l’esecuzione di un altro reato.

Gli ultimi dati Istat rivelano che in Italia una donna su tre fra i 16 e i 70 anni è stata vittima nella sua vita dell’aggressività di un uomo, mentre ben sei milioni 743 mila sono quelle che hanno subito violenza fisica e sessuale.Il più delle volte le violenze avvengono tra le mura domestiche e più del 90% non sono denunciate, alcune perfino nemmeno percepite dalle vittime come crimini, ma come una sorta di espressioni violente d’amore o dovute a un diritto “antico” che ancora si riconosce al maschio di avere sulla sua compagna. Ripetuti nel tempo, i soprusi si fanno sempre più frequenti e brutali, fino a sfociare nei casi più estremi all’omicidio, tanto che ogni anno in media ben 100 donne vengono uccise dal marito, dal fidanzato o da un ex.

Gli abusi psicologici, fisici e sessuali sono il più delle volte messi in atto in un arco di tempo abbastanza lungo da permettere alla donna, se aiutata, di uscire dalla sua condizione di vittima, è perciò fondamentale che le siano dati gli strumenti psicologici, economici e legali per reagire. L’intervento delle forze di polizia o di associazioni contro la violenza avviene purtroppo quando almeno un crimine è già stato commesso, perciò sarebbe fondamentale puntare sulla prevenzione. Le politiche di prevenzione non dovrebbero essere però fatte solo sulla donna – attraverso per esempio opuscoli che dispensano preziosi consigli come “non camminare la sera in strade poco illuminate”, che sembrano sottintendere che, se non lo fai, in fondo te la sei cercata – ma per la donna.

È necessario anzitutto introdurre leggi specifiche. In Italia non siamo stati molto veloci nel farlo. Solo nel 1981 sono stati infatti abrogati il delitto d’onore e l’inaccettabile “matrimonio riparatore” secondo cui l’accusato di delitti di violenza carnale, anche su minorenne, vedeva estinto il reato in caso di matrimonio con la persona offesa, condannando così la vittima ad essere legalmente stuprata a vita dal suo carnefice. Non dimentichiamo inoltre che fino al 1996 i reati di violenza sessuale erano considerati solo delitti contro la moralità pubblica e il buon costume e non contro la persona.

Un grosso passo avanti in campo legislativo è stato fatto nel febbraio del 2009, introducendo il reato di stalking, ovvero la messa in atto di atti persecutori intesi come molestie e/o minacce ripetute, tali da turbare le normali condizioni di vita di chi li subisce e metterlo in uno stato di insicurezza e di timore per se stesso o i propri cari. È ancora troppo presto per dire quanto l’applicazione di questa legge stia avendo effetto, ma è importate che almeno in campo legislativo si affermi in modo deciso il principio che la donna ha il diritto di dire no in qualsiasi momento di una relazione − quindi sia se il partner vorrebbe ancora portarla avanti o se “esiste” solo nella sua mente – e che la sua decisione deve essere rispettata. Far sì che tale principio si trasformi in pensiero comune è compito di ogni educatore, istituzionale e non, dei mass media e di chiunque non si accontenti di voltarsi dall’altra parte quando viene a conoscenza di una qualsiasi violenza.

(Biancamaria Massaro)


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