La leggenda del Golem
“Non so come, mi torna in mente la leggenda del misterioso Golem, l’uomo meccanico che tanto tempo fa, qui nel ghetto, un saggio rabbino creò utilizzando i quattro elementi; poi gli diede una sterile vita d’automa rinserrata in una formula magica che gli pose tra i denti”.
Gustav Meyrink nel suo romanzo Il Golem accenna soltanto alla creatura leggendaria, preferendo concentrare la sua attenzione sul tema del “doppio”, dell’altro “se stesso”, inteso come riflesso oscuro dell’animo umano.
Le sue parole tuttavia descrivono alla perfezione le sensazioni che si provano passeggiando per l’antico quartiere ebraico di Praga. Tutti coloro che hanno avuto la fortuna di trascorrere almeno qualche giorno nella suggestiva capitale della Repubblica Ceca, hanno sentito parlare del rabbino Lőw e dell’essere da lui plasmato con l’argilla della Moldava.
Ma il mito ha origini molto più arcaiche.
Già il Talmud accenna a grandi studiosi della Torah, vissuti nel III e IV secolo, in grado di creare un uomo dalla polvere.
A partire dal XII secolo saranno poi gli ebrei Hasidi ad approfondire i poteri derivati da determinate combinazioni di simboli e lettere, utilizzati in diverse pratiche mistiche. La creazione del Golem, homunculo artificiale, rappresenta il culmine dell’apprendimento magico: il potere della mente, le lettere incise, il verbo che diviene materia. Il risultato è una statua vivente priva di anima e parola, supremo esercizio per gli adepti di un percorso cabalistico, più simbolo della potenza della genesi divina che strumento utile agli effetti pratici.
La figura del Golem cambia però a partire dalla fine del Rinascimento, quando l’affermarsi del pensiero razionalista scalza le credenze magiche.
E così il gigante d’argilla inizia a essere descritto come una creatura dalla forza sovrumana e dall’intelletto limitato, plasmato dai rabbini più potenti a loro uso e consumo: domestico, servo, guardia del corpo.
Sulla fronte ha incisa la parola ameth (verità), mutata all’occorrenza in meth (morte): cancellando la prima lettera del verbo creatore infatti, il mostro viene distrutto.
La tradizione riferisce che un certo Baal Shem costruì in Polonia un Golem che iniziò a crescere, giorno dopo giorno, fino a diventare un colosso tale che nessuno poteva arrivare alla sua fronte per modificare la scritta vitale. La spaventosa crescita del gigante doveva essere arrestata in fretta e, così, il rabbino escogitò uno stratagemma. Poiché la creatura era il suo domestico, gli chiese di lucidargli gli stivali, in modo tale da farlo chinare abbastanza per arrivare a cancellare la lettera aleph dalla parola ameth.
Il piano riuscì, ma il rabbino rimase schiacciato e sepolto dalla spaventosa quantità di argilla che gli franò addosso. Come se il destino avesse voluto cancellare lo spregiudicato creatore insieme alla sua infelice creatura.
Fu proprio grazie a questi nuovi aneddoti che la figura del Golem iniziò ad assumere tratti inquietanti e mostruosi.
Sino a giungere al 1580 e alla tradizione del quartiere ebraico di Praga.
Un religioso sanguinario di nome Taddeo era in procinto di organizzare l’ennesima persecuzione contro gli Ebrei, quando il rabbino Jehuda Lőw ben Bezalel lo venne a sapere. Così, Rabbi Lőw, con il permesso del sovrano Rodolfo II, creò un Golem e lo chiamò Josef.
La creatura, dalle sembianze umane, era dotata di una forza eccezionale e aveva il compito di proteggere la comunità. Una volta passata l’ondata di intolleranza religiosa, Rabbi Lőw decise di tenere Josef Golem in vita e di adibirlo a svolgere varie mansioni, che gli venivano affidate quotidianamente tramite una sorta di “piano della giornata”. Un sabato, però, a causa dei suoi impegni legati alla celebrazione delle funzioni, il rabbino si dimenticò di consegnare il piano al Golem, il quale, non essendo abituato all’ozio, prese a vagare per il ghetto distruggendo tutto, scuotendo le fondamenta di case e botteghe, mettendo a repentaglio l’integrità fisica di chiunque gli capitasse a tiro.
La comunità, riunita in preghiera, fu sconvolta dalla furia del mostro. Sfidando il pericolo, Lőw riuscì a intervenire e a renderlo inoffensivo. Fu in questa occasione che, secondo alcune fonti, il Golem venne ridotto a simulacro, coperto da pile di libri e logori mantelli, e rinchiuso per sempre nella soffitta della Sinagoga Vecchio–Nuova. Il rabbino, il giorno seguente, rese nota la severa proibizione di andare nella soffitta del tempio.
Solo un certo Ezekiel Landau, in epoca successiva, salì fino alla camera vietata, spinto dal desiderio di controllare la veridicità della storia.
Rischiò di morire per il terrore.
Oggi la Sinagoga Vecchia–Nuova è aperta ai fedeli e ai turisti. Tuttavia non è permesso l’accesso ai piani superiori della stessa. La leggenda vuole che proprio lassù giaccia ancora, rinchiuso da secoli, il fantoccio d’argilla. Il rabbino Lőw riposa invece poco distante, tra le migliaia di disordinate tombe del vecchio cimitero ebraico.
Forse proprio da là egli continua a sorvegliare affinché quella “cosa”, che una volta era stata Josef Golem, non venga riportata in vita.
(Giuliano Conconi)
Fotografie: Silvia Vittorio
Fonti:
– Gustav Meyrink, Il Golem, 1913
– Sebastiano Fusco e Gianni Pilo, Il simbolismo kabbalistico del Golem, I grandi romanzi dell’orrore, Grandi Tascabili Newton, 1996
– Chajim Bloch, Il Golem di Praga, Berlino, 1920
– AAVV, Collezione praghese di leggende ebraiche, nuova raccolta rivista, Vienna e Lipsia, 1926