Polvere alla polvere, di Brian Freeman

Titolo: Polvere alla polvere
Autore: Brian Freeman
Editore: Piemme
Anno: 2014
Pagine: 182
Prezzo: 1,90 euro (cartaceo)

Sinossi

Ci sono verità che è meglio lasciare sepolte sotto una coltre di neve. È notte quando il detective Jonathan Stride arriva nel piccolo cimitero di campagna dove riposa sua madre, a Shawano, Wisconsin, un luogo dove non metteva piede da vent’anni. Nel buio, la sua torcia illumina la neve che cade piano, mentre una campana arrugginita suona nel vento. All’improvviso, i fari di un’auto della polizia fendono l’oscurità; un agente scende dall’auto, si avvicina a una lapide e si toglie la vita con un colpo alla tempia. Stride è un estraneo in quella piccola città e lo sceriffo non gradisce né la sua presenza né la sua curiosità. Eppure il detective non può dimenticare quanto è accaduto proprio davanti ai suoi occhi: vuole risposte, ed è disposto a trovarle da solo. Anche a costo di riaprire le pagine più oscure del passato di Shawano…

La recensione di Nero Cafè

Comincio con una confessione: non avevo mai letto nulla di Freeman, prima d’ora, e il mio rammarico è averlo fatto con un romanzo intermedio. Quindi, se volete, iniziate dal primo titolo che vede protagonista il detective Stride, Immoral (Piemme, 2006).

Il romanzo è scorrevole e coinvolgente, sebbene non in maniera uniforme; alcuni passaggi, infatti, si divorano, mentre altri risultano più lenti. Tuttavia, il romanzo si legge in pochissimo tempo, vuoi per la brevità, vuoi per una struttura snella e lineare, vuoi ancora per lo stile di Freeman, davvero interessante: è spietato, non si perde in particolari inutili, eppure condisce la narrazione con metafore e descrizioni brevi che riescono perfettamente a delineare ambienti e personaggi.
Le ambientazioni, in tal senso, sono statiche: l’intera faccenda è ambientata nella cittadina di Shawano, in Wisconsin, tuttavia il lettore non sente la necessità di oltrepassarne i confini. La vicenda s’incastra perfettamente nel clima gelido e misterioso del paese. I personaggi sono ben tratteggiati sia sotto l’aspetto fisico sia sotto quello psicologico. Anche i dialoghi risultano coerenti e le espressioni cambiano in base al personaggio del momento, così come le gestualità.

Personalmente, ho trovato un autore dalle capacità enormi e dalla penna elegante e cattiva, tanto che approfondirò la sua bibliografia non appena avrò tempo e possibilità. Polvere alla polvere è un romanzo breve che riesce comunque a fare il suo “sporco lavoro”. Bravissimo Freeman a mescere delitti materiali con elementi paranormali (nel romanzo, infatti, si incappa spesso nella dicitura Der Teufel, il diavolo), magistrale nel trasmettere il gelo di Shawano e farlo incuneare nelle ossa del lettore (che non si libererà più dalla neve e dalla sensazione di freddo delle prime pagine) e davvero bravo a trattare un tema di grande attualità (che non vi rivelo, altrimenti rischio di togliervi il divertimento). Un libro dallo stampo tipicamente americano, narrato in maniera quasi cinematografica.
Vi chiederete: se sei così entusiasta di questo autore, perché non dai una valutazione maggiore? Proprio perché suddetto autore è capace, secondo me, di narrazioni strabilianti. Qui, nel finale, si perde un po’ e gli ultimi eventi sono poco chiari, quasi volesse concludere in fretta il romanzo. Inoltre, a livello concettuale, vi sono degli avvenimenti iperbolici, non giustificati dal contesto familiare della cittadina né dai ruoli ricoperti dai personaggi.
Lettura, comunque, consigliata. Freeman gran maestro di stile.

Estratto

Jonathan Stride guardava il cimitero riempirsi di neve. Una nevicata senza vento che smorzava ogni suono, ricoprendo di una coltre bianchissima le tombe e l’erba addormentata. L’unica luce era quella della torcia che illuminava la strada. Era solo un piccolo cimitero di campagna, incastonato tra i campi di mais del Wisconsin, eppure Stride non ricordava esattamente da che parte andare. Era stato lì soltanto una volta, nella sua vita.
Quanto tempo fa? Forse una ventina d’anni. Era ancora giovane. Era venuto in pellegrinaggio con la moglie Cindy, per visitare la tomba di sua madre poco dopo la collocazione della lapide.
La torcia illuminava tombe con date di morte risalenti anche a cent’anni prima. Una muffa gialla oscurava i nomi sulle lapidi più vecchie. Vide epitaffi scritti in tedesco, che riflettevano l’eredità culturale della zona. “Der Herr ist unsere hirte uns wird nichts mangeln”. Le lapidi erano quasi tutte senza pretese, ma alcune erano di grandi dimensioni, ironica dichiarazione dell’importanza delle persone sepolte sotto.
Ironica, perché chi si ricordava di loro, adesso?

Valutazione: tre coltelli e mezzo.

(Tatiana Sabina Meloni)

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