Madre!, allegoria di un fallimento di proporzioni… bibliche

Mai fidarsi a occhi chiusi di un regista con grandi velleità autoriali come Darren Aronofsky, cari amici di Nero Cafè! Sì, perché, non pago del flop, peraltro meritatissimo, del tremendo polpettone del 2014 Noah, il pur talentuoso regista è riuscito nella non scontata impresa di scrivere e girare poco dopo, nell’estate del 2016, un altro pessimo film.

Oddio, forse tale aggettivo in fondo è immeritato, visto che, almeno sotto il profilo visivo, il film è dignitoso, benché la regia sia un po’ troppo compiaciuta e calligrafica, specie nella prima parte del film, la più tradizionale e ammiccante all’horror. Che tuttavia tale non è, come capirete dappresso.

A proposito di aspetti tecnici, l’effettistica audio è di ottimo livello, tenuto conto anche dell’assenza di colonna sonora. La fotografia, cupa e volutamente incolore, è funzionale alle atmosfere opprimenti che permeano soprattutto la prima ora. Anche i dialoghi, scarni e rarefatti, sembrano adeguati alla storia che si svolge, pardon, si trascina davanti ai nostri occhi.
È tutto il resto che proprio non va.

La trama in fondo è molto semplice, fin troppo. Una coppia all’apparenza tranquilla vive in una villa isolata. Lui, chiamato sbrigativamente “poeta” — proprio così — è un poeta in cerca d’ispirazione, ed è interpretato da uno stralunato Javier Bardem. Lei, “madre”, una Jennifer Lawrence più imbambolata del solito, vive nell’adorazione del compagno, intenta peraltro a sistemare la casa, in precedenza devastata da un incendio.

Il ménage tutto sommato tranquillo della coppia viene turbato dall’arrivo improvviso di uno sconosciuto, “uomo”, il sempre eccellente Ed Harris, presto raggiunto dalla moglie, “donna”, una gelida e affascinante Michelle Pfeiffer. Ne nasce una bizzarra convivenza, accettata con paradossale entusiasmo dal poeta. Il quale peraltro si comporta per l’intera durata del film come una sorta di egocentrico beota, del tutto indifferente a ciò che accade attorno a lui.
In seguito, la coppia di ospiti è raggiunta dai due figli, uno dei quali uccide l’altro in seguito a una lite familiare. La casa subisce una prima invasione da parte di una folta combriccola di amici accorsi in sostegno della coppia Harris – Pfeiffer.

Come prevedibile, l’equilibrio mentale di madre comincia a vacillare, e anche la pazienza dell’esterrefatto spettatore, davanti alla lentezza delle scene e agli indizi non sempre coerenti lanciati qua e là dal contorto regista. In compenso, però, Poeta ha recuperato l’ispirazione, proprio in seguito ai tragici eventi. Ritrova anche il successo, travolgente in senso letterale: la casa viene dapprima assediata e poi nuovamente invasa da una sterminata moltitudine di fan.

Noia e fastidio a parte, siamo ormai approdati nella seconda parte del film, nel corso della quale Aronofsky dà libero sfogo alla sua vena più delirante.
I suddetti fan invadono l’abitazione dei due, abbandonandosi a saccheggi e devastazioni, con corollario d’intervento della polizia. Intanto madre partorisce ed è ormai evidente che il regista deve aver dato fondo a ogni tipo di sostanza allucinogena: la storia prosegue in un crescendo di violenza e ferocia, all’apparenza senza più rispetto per la coerenza logica e la tenuta narrativa del tutto.

Il fatto è che la trama del film è da intendersi – si è sentito in dovere di spiegare lo sciagurato artista – solo come un’allegoria biblica, sulla quale sorvolo per pietà della vostra salute mentale.
Vi basti sapere che tutti i personaggi del film sono, in realtà, almeno nelle sciagurate intenzioni del cineasta, personificazioni di altrettanti personaggi biblici. Altrettanto dicasi per l’intera storia, soprattutto negli apparentemente incomprensibili sviluppi mostrati nella seconda parte del film.

Insomma, un guazzabuglio pretenzioso e sconclusionato, irritante e in definitiva noioso anzi che no. A pensarci bene, non stupiscono quindi le reazioni a dir poco negative suscitate al termine della proiezione in anteprima alla 74esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. E sì che erano stati proprio quei fischi a indurmi all’incauta visione del film.

Voto: 2 coltelli.

(Luigi Milani)