Lights Out, quando il buio uccide

lightsoutIn questi anni il cinema horror ha proposto e riproposto numerosi archetipi ottenendo più o meno sempre gli stessi risultati. Film a volte godibili, altre meno, sempre piuttosto prevedibili nel loro dipanarsi.
Lights Out non fa eccezione, anche se, rispetto ai suoi simili, ha forse una leggera marcia in più, dovuta a una trama abbastanza coerente che, se da una parte ha un’evoluzione telefonata, dall’altra ha una conclusione che è una conclusione e non l’ennesima porta aperta a un possibile sequel. Il regista, David F. Sandberg, nasce come registra indie di cortometraggi: uno di questi, Lights Out, viene notato da James Wan (regista di Insidious e The Conjuring) che decide di produrne la versione lunga affidandogliene la regia.
Stavolta a essere perseguitato da una misteriosa entità è Martin, un bambino tranquillo e insonne. Ma, scopriremo presto, non è lui la causa dell’inquietante presenza che si firma col nome di Diana. Protagonista della vicenda è sua zia Rebecca (interpretata da Teresa Palmer, già vista in Sono il numero quattro e L’apprendista stregone), costretta ad occuparsi del ragazzino quando la madre Sophie (Maria Bello) palesa pesanti segni di squilibrio. L’entità, per nulla contenta di questa intromissione, se la prende con Rebecca la quale scoprirà presto che soltanto restare alla luce è garanzia di salvezza. Ma chi è Diana e da dove viene? La risposta è racchiusa nel passato della sua famiglia.
Lights Out è un buon horror che vale la pena essere visto ma non vi aspettate nulla di nuovo. Memorabile, anche se ultraspoilerata dai social, la scena dell’interruttore.

Tre coltelli.

(Daniele Picciuti)

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