Il Settimino, di Fabrizio Borgio
“I settimini li vedono e li sentono” (detto popolare)
Davide Bo è un ragazzo braccato. Uomini misteriosi e pericolosi gli stanno alle calcagna, lo seguono, vogliono prenderlo. Ha paura, è disorientato. Davide è un ragazzo particolare. È nato di sette mesi. Quando le sue emozioni esplodono, attorno a lui si abbatte una specie di uragano. Oggetti che volano, mondo che trema, occhi che scoppiano, corpi che implodono. Meglio non farlo innervosire, meglio non accendere la miccia. È solo, è in fuga, cerca aiuti. Nel suo passato recente, una terribile tragedia familiare. Il padre che uccide davanti ai suoi occhi madre e sorella, poi muore. Ufficialmente, suicida. In realtà, il suo corpo è come scoppiato dall’interno. L’appiglio di Davide potrebbe essere Stefano Drago. Agente del Dipartimento Indagini del Paranormale. Si occupò a suo tempo del caso della sua famiglia, potrebbe essere l’unico a cui affidare la propria fuga, il proprio destino. Ma il ragazzo, coi suoi devastanti poteri, interessa a troppi. E non sarà facile restare libero, non sarà facile restare vivo.
Fabrizio Borgio, autore piemontese, ci propone questo romanzo, edito da Acheron Books, incentrato sulla leggenda dei settimini, che avrebbero doti e sensibilità particolari, un po’ sulla scia dei suoi conterranei Pavese e Fenoglio, che hanno fatto della riscoperta del mito trasportato nel vivere quotidiano la portante delle loro opere. Borgio stesso è nato prematuro, e divide elementi autobiografici fra i due protagonisti, il travagliato Davide Bo e il canonico aiutante, il razionale Stefano Drago.
La vicenda si poggia tutta sugli strani poteri del ragazzo nato settimino, capace nei momenti di ira di stravolgere oggetti e soprattutto corpi di chi gli sta attorno. Le fondamenta appaiono un pochino fragili, troppo esplosive e visibili le capacità paranormali di Davide per apparire verosimili, che rendono l’opera più simile a un fumettone di supereroi che a un suggestivo romanzo noir. Manca l’alone di mistero, la lenta scoperta di qualcosa di paranormale che invece viene messo subito sotto potenti riflettori. E, per accentuare questo effetto, le descrizioni di luoghi e ambienti sono eccessive, troppo cariche. Quantità spropositate di colori, che vanno a sovrapporsi fra loro. Si mescolano in scure e anonime tonalità, perdono l’agilità propedeutica alla valorizzazione del contesto, che appesantiscono invece di arricchire. E i periodi diventano un pesante damascato, non lieve cotone, strabordanti, conditi con troppi termini dialettali o gergali la cui immediata comprensione viene data a torto per scontata dall’autore. Peccato, perché invece la parte narrata è fluida e avvincente, bilancia bene i dialoghi e le azioni.
Una menzione doverosa per le citazioni poste all’inizio di ciascun capitolo. Centrate, di alto livello, suggestive.
Da prendere molto con le molle, avvicinandosi a quest’opera con la giusta consapevolezza di quel che ci aspetta.
Due coltelli.
(Giovanni Cattaneo)