Il Giocattolaio, di Stefano Pastor

Stefano Pastor è conosciuto nel web come autore prolifico e di comprovata bravura. Molti, infatti, sono i concorsi in cui si è distinto negli anni passati. Il Giocattolaio, pubblicato con Fazi, è il romanzo uscito vincitore della passata edizione di Io Scrittore e, a giudizio del Terzo Occhio, con merito.

Cominciamo col dire che le trame di Pastor hanno sempre un certo fascino che potremmo definire morboso. Nelle sue storie molto spesso i protagonisti sono bambini – un esempio è L’intervista, già recensito qui – il che non può non far pensare a certe opere di Stephen King. C’è sempre un lato oscuro che accompagna le vite di alcuni ragazzi, nelle storie di King come in quelle di Pastor. Esperienze allucinanti, al limite della sopportazione, che costringono i piccoli protagonisti a una maturazione forzata, a una crescita interiore che coincide con la rivelazione degli orrori del mondo.

La perdita dell’innocenza, tema tanto caro a King, può essere ritrovata nelle opere di Pastor e, cosa più importante, il confronto non delude.

Il Giocattolaio rientra in questi termini. Le figure che popolano questo libro sono pennellate in modo da restare impresse sulla tela della mente del lettore. Peter, il giocattolaio, con le sue stranezze e i comportamenti morbosi; l’irruenta Mina, un vulcano che ha continua sete di giustizia e non si ferma davanti a niente pur di scoprire la verità; lo schivo Jon, che tenta di guadagnarsi da vivere mettendosi continuamente alla prova senza mai cedere alla carità o all’aiuto degli altri; Massimo, in continua fuga da una famiglia distrutta, in cerca di una vita che non riesce a definire tale; Marco, molto simile a Massimo per i trascorsi familiari, ma che reca un fardello enorme, che lo consuma nel silenzio di una casa all’apparenza perfetta.

Questi sono i personaggi centrali intorno a cui ruota la storia, ricca di sottotrame che, alla fine, finiscono per incastrarsi alla perfezione.

Se dobbiamo trovare un difetto – ma è come cercare un ago nel pagliaio – diciamo che a un certo punto ci si domanda se davvero alcuni comportamenti siano giustificabili. Se tutta quella paura che porta ognuno di loro a non fare – coscientemente – la cosa più sensata, sia poi davvero comprensibile. Ma, forse, dipende dal filtro che ognuno di noi ha nel proprio vissuto. Per alcuni forse non lo sarebbe, per altri – come per i nostri protagonisti – invece sì.

In ogni caso,  un romanzo che si legge tutto d’un fiato, nonostante l’epilogo venga forse tirato un po’ per le lunghe, che tiene incollati e non delude.

Quattro coltelli.

(Daniele Picciuti)