Beetlejuice Beetlejuice: un grande ritorno
Tim Burton ce l’ha fatta. Stavolta, senza ombra di dubbio, porta sul grande schermo un sequel all’altezza di quel Beetlejuice – Spiritello Porcello del 1988 ormai divenuto un cult. In Beetlejuice Beetlejuice ritroviamo i personaggi di Wynona Ryder (Lydia Deetz) e Catherine O’Hara (la matrigna Delia Deetz) alle prese con un sempre all’altezza Michael Keaton nei panni di Beetlejuice, spirito burlone e senza molti scrupoli. Sono passati trentasei anni e questo ritorno, un po’ come accaduto per Ghostbusters – Legacy (qui la nostra recensione), rende in qualche modo più veri gli iconici personaggi del primo film. Ritrovarli dopo così tanto tempo è un po’ come reincontrare degli amici che si sono persi di vista e non deve stupire se tutti gli attori sono ancora in gran forma. A impreziosire questo già formidabile cast non può mancare la figlia di Lydia Deetz, Astrid, impersonata forse dall’unica attrice adatta a un ruolo simile, ovvero Jenna Ortega (a lei abbiamo dedicato un intero articolo qui).
Chi non compare sono i coniugi Maitland (Geena Davis e Alec Baldwin nell’originale) che sono riusciti a passare “oltre” e Charles Deetz (Jeffrey Jones), anche se a onor del vero il suo personaggio c’è eccome ma lo vediamo soltanto in forme alternative a quella umana. La cosa può far storcere il naso, se non fosse che il motivo più probabile è riconducibile a fatti tutt’altro che piacevoli riguardanti la vita dell’attore. Sappiamo, infatti, che nel 2002 Jeffrey Jones è stato condannato per possesso di materiale pedopornografico e per aver richiesto a un ragazzino di 14 anni di posare nudo in un video. Condannato a cinque anni di libertà vigilata e inserito a vita nelle liste dei molestatori sessuali, la sua carriera ha avuto un brusco declino, in seguito anche ad altri guai legali successivi. Presumiamo sia questo il motivo della sua assenza nel sequel. Tuttavia il suo personaggio resta e ha un ruolo centrale all’interno della storia, essendo la miccia che dà l’innesco a tutto.
Ma qual è la storia?
Charles Deetz muore misteriosamente in un incidente aereo e la sua famiglia deve tornare alla ghost house a Winter River per il funerale. Delia, nel suo finto dolore, Lydia, con i suoi traumi irrisolti, e sua figlia Astrid, che non crede assolutamente al paranormale, sono accompagnati da Rory (Justin Theroux), produttore dello show di Lydia e suo spasimante. Già, perché Lydia conduce un programma sullo spiritismo, cosa che indispettisce molto sua figlia Astrid, dal momento che sua madre afferma di poter vedere i fantasmi, eppure non è mai riuscita a vedere quello del marito (e padre di Astrid), defunto anni prima in Amazzonia. Questo ha creato tra le due donne un conflitto che darà il via a ulteriori problemi durante la vicenda.
Parallelamente, un’altra linea narrativa prende vita. Riguarda il ritorno in vita di Delores (una spettrale Monica Bellucci), ex quasi moglie di Beetlejuice (o dovremmo dire Betelgeuse, come la stella, questo è il suo nome senza storpiature) che lo cerca per terminare le nozze e, successivamente, aspirargli l’anima. Cosa che lo ucciderebbe per sempre. E motivo che spinge lui a cercare Lydia, per sposarla prima che l’altra donna lo acciuffi. In un susseguirsi di performance comiche (e drammatiche), Beetljuice diverrà ago della bilancia nelle vite di tutte le donne Deetz.
Nel cast troviamo anche un istrionico Willem Dafoe nel ruolo di Wolf Jackson, un poliziotto dell’Aldilà che ha il compito di riportare equilibrio nel mondo dei morti, alterato dalla serie di sconfinamenti che hanno luogo durante la notte di Halloween, teatro di amori, morti, sorprese e tradimenti.
C’è da dire che qui, rispetto al primo film, il personaggio interpretato da Michael Keaton ha decisamente più spazio di manovra e passa dall’incarnare un semplice villain a un ruolo più sfaccettato, che potrebbe qualificarlo come una specie di antieroe, il cui allineamento morale è più sul neutrale caotico che caotico malvagio (i giocatori di D&D mi avranno capito). E, al fine di perseguire i suoi scopi, Beetlejuice mette in scena teatrini di ogni tipo, dal cabaret al karaoke, dall’illusionismo alla magia vera e propria, senza mai risparmiarsi dall’eccesso di atti osceni e volgarità.
La cosa che più mi ha soddisfatto sono gli effetti speciali, artigianali, un punto d’incontro ideale tra CGI e stop-motion, migliori rispetto a quelli del 1988 ma con la stessa impronta, che definirei “burtoniana”, e una scenografia che rimanda a quelle influenze dell’impressionismo tedesco tanto care a Burton (se volete saperne di più, vi consiglio la lettura di questo saggio: Tim Burton. From Gotham to Wonderland, di Giulio Muratore, Nero Press Edizioni). Il tutto permette al film di incastrarsi perfettamente col suo predecessore, senza troppi sbalzi di effettistica digitale.
Lo stesso regista ha affermato, in un’intervista, che la sua intenzione era quella di tornare a creare un film come faceva un tempo, seguendo il suo cuore e non al fine di inseguire incassi al botteghino, e farlo con le persone a lui più congeniali. E infatti alla sceneggiatura troviamo Alfred Gough & Miles Millar (Mercoledì), alla scenografia Mark Scruton (Mercoledì), ai costumi Colleen Atwood (Alice in Wonderland, Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street, Il mistero di Sleepy Hollow), al montaggio Jay Prychidny (Mercoledì), agli effetti speciali Neal Scanlan (Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street, Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato) e alle musiche Danny Elfman (Beetlejuice, Big Fish, Nightmare Before Christmas, Batman). Come si può notare, sono tutte persone che hanno già lavorato con lui in passato. Secondo Burton, era ciò di cui aveva bisogno, perché, proprio come Lydia Deetz, anche lui si è allontanato da quella che sarebbe stata la sua vita e il suo modo di fare cinema, e ha voluto ritornare alle origini, esattamente come la sua eroina.
Due note a margine: il cameo di Danny DeVito nelle scene iniziali e il nome di Brad Pitt tra i produttori esecutivi.
Quattro coltelli.
(Daniele Picciuti)