Il morso del lupo, di Luigi Balocchi

unnamed (1)L’inferno, a volte, è davanti a noi, a portata di mano. Vigevano. Tranquilla, quasi noiosa città della provincia lombarda. Con la caratteristica di essere una delle città al più alto tasso di suicidi d’Italia. Silenziosa, fino a quando una giovane del luogo, apparentemente impeccabile, di buona famiglia, viene massacrata in casa sua, in modo violentemente inspiegabile. Le attenzioni mediatiche, le luci della ribalta, si accendono. E tutti vanno a curiosare sul povero corpo straziato. I sospetti si dirigono sul fidanzato della vittima, che le autorità locali provano a inchiodare, vittima sacrificale a portata di mano. Invano, l’indiziato viene presto rilasciato, vista la debolezza dell’impianto accusatorio. Il redattore di nera del quotidiano locale invece, sollecitato dal suo intuito e da un sensitivo, prova a seguire un’altra strada. Quella del Male, animalesco, leggendario, irrivelabile. Quel Male che odora di sesso, di alterazioni sensoriali artificiali, di perversioni. Che lascia attorno e dentro solo una infinita, assoluta, malinconia.

Il romanzo si ispira, piuttosto fedelmente, a un fatto realmente accaduto nella provincia pavese. L’autore, Luigi Balocchi, lo imposta secondo il punto di vista del redattore di cronaca nera del giornale locale. La scelta è azzeccata, consente di dare alla narrazione una marcata impronta giornalistica, che può così essere descrittiva e indagatoria. Per insaporire la storia, non ci si fa scrupolo di abbondare un po’ troppo con gli ingredienti. Violenza, sesso turpe e altri vizietti assortiti sono sempre garanzia di interesse morboso. In un contesto peraltro molto ben analizzato, il cuore pulsante del luogo è estratto perfettamente dalla sua gabbia toracica, protettiva teca fatta di nebbia e di apparente tranquillità che cela invece una inquietudine profonda, un disagio esistenziale fatto di vuoti pneumatici da riempire con isterismo. Lo stile di scrittura, a capitoli e paragrafi molto brevi, è estremamente convincente e agile, consente tranquillamente anche una lettura spezzettata e diluita nel tempo, tanto più che, forzatamente, la trama è fatta più di stati d’animo che di complessi intrecci. E ha anche slanci di una prosa disincantata, alta, “Anche la luna, sporcata da una bava di nubi, era stanca da far schifo” è indimenticabile. Certo, la vicenda, incanalata su binari predefiniti, non risulta particolarmente appassionante, e il finale è un po’ scontato, ma nel complesso l’opera appare certamente potabile. Particolarmente adatta a una lettura frammentaria, magari durante gli spostamenti invernali su mezzi pubblici affollati e umidi, nelle ombre di mattinate grigie.

(Giovanni Cattaneo)

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