Quei giorni mai esistiti, di Andrea Canto

quei giorni mai esistitiQuando, in tribunale, si decide di andare fino in fondo, si accetta di rischiare tutto. Perché, in certi casi, vincere o perdere possono essere le due facce della stessa moneta. Ma è necessario fare in modo che esca il lato giusto. A qualsiasi costo.

Jason è un avvocato di New York. Un terzo dello studio legale Davis, Baker & Reynolds Associates. Si occupa di class action, quelle cause che negli Stati Uniti un gruppo numeroso di persone può intentare contro grosse società. Un ramo estremamente remunerativo. Jason ha avuto un’infanzia molto difficile. Figliastro fragile di un padre violento e selvaggio, alcolista e depresso. Ora è diventato il tipico squalo del foro. Senza scrupoli, votato solo a far soldi, nel più breve tempo possibile, nella maggior quantità possibile. Non si guarda indietro, non si guarda attorno. Sicurezza e controllo totali, fino a quando Sally, giovane neolaureata (in apparenza una come tante), chiede di poter collaborare presso il suo studio. Ma Sally non è una qualsiasi. È un ricordo del suo passato tenebroso. È, forse, l’occasione di redenzione che si ripresenta, quando sembrava troppo tardi, quando le speranze erano ormai svanite. E Jason prova a non farsi sfuggire l’occasione, decide che per una volta vale la pena rischiare.

Ambiziosissima la voluminosa opera di Andrea Canto. Che cerca un romanzo ad ampio respiro, un colossale legal thriller chiaramente similare alle opere di John Grisham. Il risultato è altalenante, la trama è discretamente accattivante, molto curata nei dettagli e nella struttura, pervasa pienamente dai tipici valori americani di senso della giustizia, avidità, centralità sacrale della famiglia. Diventa però un pochino troppo mastodontica, mancano le bollicine necessarie a un lettore italiano per appassionarsi davvero. La struttura narrativa presenta eccessivi salti temporali, si va sovente avanti e dietro nel tempo, col risultato di spezzettare la fluidità della lettura. La prosa poi non è molto brillante, presenta a volte sensazioni contraddittorie. Di un odore non si può affermare contemporaneamente che ha “un tocco maschio e deciso e una fragranza quasi femminile”, così come di un ufficio suona male affermare che “ferveva di attività frenetica”, utilizzando un doppio rafforzativo, superfluo. I personaggi stessi risultano essere un po’ freddi, non ci si riesce del tutto ad identificare con loro, non scatta quella simbiosi che è chiave importante di qualsiasi romanzo che si rispetti.

Opera ideale solo per gli assoluti appassionati di legal trhiller, che troveranno pulizia di struttura e di stile, senza però mirare alla freschezza e alla originalità.

(Giovanni Cattaneo)

blackdoor