La fantasia dello scarafaggio, di Edward Punch
La Fantasia dello scarafaggio, di Edward Punch
Mamma Editori, collana Kriminal Tango, 306 pag.
Dalla quarta di copertina:
Londra. Morti inspiegabili sconvolgono il Regno Unito e l’Europa. Bambine angelo vestite di bianco si schiantano al suolo dall’alto dei ponti e dei palazzi. Incubo dei genitori conservatori britannici, l’assistente sociale Nor Temple, bellissima e istrionica, è decisa a risolvere l’enigma e a stanare “lo scarafaggio”. La responsabile Temple, trascinata da un intuito senza briglie, solca le fantasie livide dell’infanzia inglese, vittoriane e inquietanti, affiancata in questo e trattenuta dal vice ispettore capo, John Carver. Esperto in omicidi seriali, l’acutissimo detective è sorretto da logica spietata e parole affilate come stiletti. Insofferente all’ordine e alla gerarchia, marine in tacco dodici, Temple si trova di fronte a una doppia sfida: sopportare e fare squadra con l’ispettore Carver, arrogante e misogino, e fermare la lunga teoria di giovani vittime.
Attratta dalla promessa di atmosfere gotiche e morbose, mi sono subito interessata a questo romanzo italianissimo, nonostante il tentato depistaggio per mezzo di uno pseudonimo straniero, dietro di cui sembra celarsi un’autrice.
Le mie aspettative sono state in parte soddisfatte, con lievi sbavature che comunque nulla tolgono alla positività della prova di Punch.
Trama e personaggi: la trama è l’elemento che me lo ha fatto scegliere tra altri senza il minimo dubbio, perché se da un lato cavalca la moda delle ambientazioni gotiche e decadenti, dall’altra le attualizza senza incorrere in stereotipi abusati che avrebbero tolto credibilità alla storia; soprattutto, qui gli unici “angeli caduti” sono ragazzine suicide e non creature perfette che si lanciano in storie d’amore struggenti con fortunati umani, di cui le librerie sono piene.
La storia scorre con continuità e coerenza e l’impianto narrativo è solido; notevole la preparazione alla base dell’intreccio. Una delle sbavature cui accennavo, però, la riscontro proprio a livello di trama: quando la protagonista trova la bozza di un’email in cui una delle vittime accenna per la prima volta allo “scarafaggio”, non si interroga, né indaga, su chi sia il destinatario del messaggio – il cui indirizzo di posta elettronica tra l’altro è indicato nel romanzo – scervellandosi invece sul contenuto oscuro del testo. Le indagine proseguono in tal senso solo duecento pagine dopo. Non credo sia verosimile: non sarebbe stato più facile e immediato rintracciare il destinatario e chiedergli chiarimenti? Questa osservazione mi ha fatto notare un altro aspetto un po’ discutibile: per tutta la storia non si fa mai cenno alle amiche delle vittime, mentre è noto che nella vita di un’adolescente costituiscono una seconda famiglia, se non di più, e conoscono aspetti segreti che i genitori possono invece ignorare. Possibile che le indagini non si estendano alla cerchia delle conoscenze, all’ambiente scolastico? Includere nell’intreccio questi legami avrebbe sortito due effetti positivi: rendere più verosimigliante la storia e arricchirla di aspetti morbosi, o quantomeno misteriosi, aprendo una finestra sul mondo adolescenziale dei giorni nostri, spesso poco limpido.
In generale, chi si aspetta inseguimenti adrenalinici e sparatorie, resterà deluso. Il ritmo, soprattutto all’inizio, è lento e cadenzato; è un thriller fatto di atmosfere cupe, indizi da interpretare, storie umane da scoprire. È un crescendo di ombre, di rivelazioni e scenari che si aprono infine su un mondo che, purtroppo, richiama echi di fatti reali.
Ho particolarmente apprezzato le tematiche femminili che sorgono durante la lettura, trattate con cognizione di causa e delicata sensibilità, senza comunque mai scivolare nella retorica; su questo punto non mi dilungo oltre per non svelare troppo.
L’identità del colpevole si indovina con una certa facilità, non perché sia stata maldestramente annunciata, ma perché, in fondo, i personaggi che si muovono su questa scacchiera sono pochi e, tra quei pochi, quelli tratteggiati con perizia catturano l’attenzione.
Il finale, però, è ottimo: il misurato e al tempo stesso accorato intervento di Nor non può che portarci dalla sua parte e farcela amare; farci amare una storia che è uno scorcio di mondo in cui viviamo e che può essere più spaventoso di qualsiasi incubo.
Per quanto riguarda i personaggi, mi focalizzerò sui due principali: Nor Temple e John Carver. Per entrambi le osservazioni sono le stesse: si parte da elementi abbastanza stereotipati che fanno storcere un po’ il naso (bellissima valchiria in tacco dodici lei; inconsapevolmente affascinante e misterioso lui), per ribaltare la situazione subito dopo, introducendo aspetti tipizzanti sopra le righe che li riscattano da quanto osservato poco sopra: Nor che ha gusti culinari quantomeno atipici ed espressioni colorite che non ci si aspetterebbe, per non parlare della noncuranza – a volte sconfinante nella trascuratezza – con cui tratta il suo corpo perfetto; John che veste con panciotti da dandy, parla poco ma è capace di battute spassose, ed è un uomo che il lettore avverte come reale, senza atteggiamenti stucchevoli. Riguardo a lui, nella quarta di copertina lo si definisce “misogino”, ma l’ho trovato più che altro scostante e riservato, molto più morbido di quanto mi aspettassi.
Stile: pregevole scrittura, fluida e scorrevole. Un elemento caratterizzante di Punch è senz’altro il linguaggio ricco e appropriato: sembra strano a dirsi per uno scrittore perché dovrebbe essere scontato, ma è sempre più facile trovare romanzi in cui la scrittura si impoverisce di termini e struttura, quasi che lo scempio sia considerato necessario ai fini di uno stile efficace e diretto. Punch dimostra che entrambi gli aspetti possono invece coesistere indisturbati, senza che il risultato appaia mai pesante e logoro.
Il suo è uno stile moderno, ironico, accurato, snello, ma mai “povero”. Aderente a una “scuola anglosassone”, serve più per raccontare una storia, che per soffermarsi sui risvolti psicologici e introspettivi, così cari invece alla tradizione “del sentire” di scuola italiana. Ad alcuni questo aspetto non piacerà, io invece lo trovo coerente e perfettamente in linea con il genere narrativo trattato. È una scelta coraggiosa che va premiata, che aspira a un risultato dal carattere internazionale – tra l’altro l’ambientazione inglese è resa in modo impeccabile, anche mediante l’escamotage di continui richiami a luoghi esistenti – difficile da trovare negli autori italiani.
La rilegatura piuttosto “rigida” ha reso un po’ scomoda la lettura, ma considerato il prezzo più che onesto dell’edizione (€ 9,80), è stato un piccolo disagio che affronterei volentieri molte altre volte pur di acquistare più romanzi come questo, davvero interessante sotto molti punti di vista.
(Ilaria Tuti)
Vero Ilaria, interrogare le amiche avrebbe di molto ampliato il raggio del romanzo.
Edward 🙂
PS Grazie tantissimo per la profondità della tua lettura.
“Un elemento caratterizzante di Punch è senz’altro il linguaggio ricco e appropriato” Non potrei essere più d’accordo.
Ma soprattutto:
“Aderente a una “scuola anglosassone”, serve più per raccontare una storia, che per soffermarsi sui risvolti psicologici e introspettivi, così cari invece alla tradizione “del sentire” di scuola italiana”. questa affermazione è verissima e sapendo quanto l’autore abbia una fissazione per questo aspetto, è davvero esaltante che venga fuori e sia apprezzato.
Complimenti per la recensione curatissima.
Edward, Margaret,
grazie a voi.
Ilaria