Shalim, di Andrea Franco

Se il proprio corridoio spazio temporale è costruito sulla malvagità umana, questo sarà pieno di uscite possibili. Il lato oscuro è in continua evoluzione, tutt’altro che sopito.
Sudan. Fine del diciannovesimo secolo. Deserti bollenti, calore che brucia il corpo, sole che affetta come lama infuocata. Sebastian, vecchio e singolare spagnolo esperto di esoterismo, deve avere un motivo davvero valido per spingersi ad offrire un ricco compenso ad una eterogenea scorta che lo aiuti nell’attraversamento di luoghi così mortali. Oltretutto, sfidando l’ostilità bellicosa del Madhi locale. Il motivo è Shalim. Qualcuno, o qualcosa, destinato a un ultimo sussulto vitale, prima di perdersi nei meandri del tempo.
Periferia di Roma. Oggi. Robert e Nadia, giovani, attraenti, flirtano a una festa. Escono mano nella mano, finiscono quasi automaticamente in spiaggia. Dove però li attende una bruttissima sorpresa. Finché qualcuno, perso nei meandri del tempo tanti anni prima, trova la strada per il ritorno. Shalim.
Questo racconto di Andrea Franco prende nome e parte dell’ispirazione dalla divinità cananea del crepuscolo, Shalim appunto, inteso come metafora del tramonto dell’animo umano. La parte “sudanese” è molto wilboursmithiana, scenografica, d’ambiente, esotica. E nell’insieme convince abbastanza, seppure nella forse eccessiva rapidità di successione degli eventi. Un po’ semplice  l’approccio della parte “romana”, un eccessivo odore melenso in un contesto che si vuole di transito verso l’oscuro. E, in generale, latente è l’impressione che manchi il tentativo di portare il lettore con pathos crescente agli eventi chiave, che invece sbucano quasi improvvisi. Toccante e significativo è invece il finale, che rende perfettamente la discesa verso il crepuscolo. La scrittura ha buono stile, fotografico e di sensazione, peccato solo per qualche passaggio forse rivedibile.
Se deciderete di mettere questo racconto sul vostro e-book reader, ricordatevi di farlo in luogo fresco e asciutto!

(Giovanni Cattaneo)