L’incubo di Hill House, di Shirley Jackson
Titolo: L’incubo di Hill House (conosciuto anche come La casa degli invasati)
Autore: Shirley Jackson
Editore: Adelphi
Anno: 2016
Pagine: 233
Prezzo: 6,99 euro (ebook) 12,00 euro (cartaceo)
Sinossi
Chiunque abbia visto qualche film del terrore con al centro una costruzione abitata da sinistre presenze si sarà trovato a chiedersi almeno una volta perché le vittime di turno non optino, prima che sia troppo tardi, per la soluzione più semplice, e cioè non escano dalla stessa porta dalla quale sono entrati, allontanandosi senza voltarsi indietro. A tale domanda, meno oziosa di quanto potrebbe parere, questo romanzo fornisce una risposta. Non è infatti la fragile e indifesa Eleanor Vance a scegliere la Casa, prolungando l’esperimento paranormale in cui l’ha coinvolta l’inquietante professor Montague. È la Casa – con le sue torrette buie, le sue porte che sembrano aprirsi da sole – a scegliere, per sempre, Eleanor Vance.
La recensione di Nero Cafè
Dopo aver letto e recensito Abbiamo sempre vissuto nel castello, ho decido di godermi un’altra storia di Shirley Jackson e la scelta non poteva che vertere sul suo romanzo più celebre: L’incubo di Hill House.
Piccolo jolly d’apertura: il romanzo in questione è noto, in Italia, anche come La casa degli invasati e ad esso si sono ispirate due riduzioni cinematografiche: Gli invasati, di Robert Wise (1963) e Haunting – Presenze, di Jan de Bont (1999).
Il romanzo è abbastanza scorrevole e riesce a coinvolgere il lettore il giusto, tuttavia, durante la narrazione, presenta degli stralci un po’ stagnanti, che rallentano sensibilmente la lettura e mitigano l’immedesimazione nonostante l’opera sia grossomodo lineare, se fatta esclusione per qualche ricordo dei protagonisti. L’intreccio è quello classico di qualsiasi romanzo di genere e lo stile è tipico della Jackson: nessuna parola altisonante, un vocabolario semplice capace di arrivare a chiunque voglia approcciarsi alla lettura del suo lavoro e periodi a volte brevi e diretti, a volte più complessi ed elaborati. Non scade però mai nella verbosità e questo è un merito che le va riconosciuto a priori, nonostante qualche passaggio un po’ complesso (soprattutto nei dialoghi) nel quale il lettore può smarrirsi.
I personaggi, forse, sono il tallone d’Achille dell’intera opera: nonostante siano sufficientemente differenziati tra loro nelle azioni, nei pensieri e, soprattutto, nei dialoghi (la Jackson, in tal senso, ha fatto un gran lavoro di caratterizzazione), non riescono a spiccare né avere tridimensionalità, restando figure narrative e non “persone”. A questo, però, si contrappone una bellissima ambientazione, molto sfruttata ma resa con maestria. I tocchi d’inchiostro della Jackson riescono a delineare benissimo l’atmosfera lugubre e misteriosa della casa, nonché la casa stessa, con le sue stranezze architettoniche e i suoi fatti sinistri.
L’incubo di Hill House è senza dubbio uno dei precursori dell’horror moderno e sfrutta topoi di stampo classico: il dramma, la follia, la morte, la suggestione, la casa lugubre e infestata. Devo ammettere che, essendo uno dei titoli più osannati del panorama mondiale, mi aspettavo un po’ di più. In primis, una caratterizzazione più profonda dei personaggi, ma anche un maggior coinvolgimento emotivo verso il lettore, particolare che qui, secondo me, manca. Peccato, perché l’inizio, con tutte le speranze della nostra eroina (Eleanor), fa scintille. Poi, però, il pathos si sgonfia man mano che i quattro coinquilini affrontano la convivenza a Hill House. Non l’ho trovato mai noioso, questo no, tuttavia alcuni passaggi sono risultati davvero “lentucci”.
Devo dire, però, che la Jackson rimane maestra delle atmosfere e ambientazioni. Un’affermazione, un aggettivo, una metafora e il brivido non manca: ti senti Hill House sulla pelle, dentro le ossa. Il problema, secondo me, è che non ha lasciato abbastanza spazio alle atmosfere di cui è maestra. Inoltre, ho trovato molto bello il gioco che unisce orrore e dramma, maledizione e soggezione, in un alternarsi incerto di ciò che è reale e ciò che non lo è. Niente sangue, nessuna scena splatter né massacri sparsi, dunque: il terrore della scrittrice continua a essere sottile e psicologico, elegante.
Le ultime righe le dedico al finale, misterioso e angosciante, sebbene un po’ scontato. Quando ho terminato di leggere il romanzo, ho pensato: “Ma perché? Perché l’autrice non ha dato un colpo di coda?”. Ho percepito l’amaro in bocca, quel tipico sentore di una lettura in cui manca qualcosa. Poi, il giorno dopo, ci ho riflettuto a mente fredda. E forse sì, la Jackson avrebbe potuto dare un tocco di personalizzazione in più, ma la chiusura di una storia folle e drammatica, fortemente psicologica, non poteva essere che uno e uno soltanto: quello per cui lei ha optato.
Lettura consigliata, pur consci che si tratta soprattutto di un dramma interiore.
Estratto
Era la prima volta che si trovavano riuniti, tutti e quattro, nel grande atrio di Hill House.
Attorno a loro, la casa stava come in agguato e li studiava, là fuori i monti dormivano di un sonno sempre vigile, piccoli vortici d’aria e di suoni e di movimento s’agitavano, sussurravano, attendevano e il centro di consapevolezza era, in qualche modo, il breve spazio nel quale sostavano, quattro persone distinte che si fissavano fiduciose.
— Sono veramente lieto che siate arrivati sani e salvi e in tempo — disse Montague. — Benvenuti, tutti quanti, benvenuti a Hill House… Ma forse il benvenuto avrebbe dovuto darcelo lei, giovanotto… In ogni caso, benvenuti. Benvenuti! Luke, ragazzo mio, non potrebbe prepararci un Martini?
Valutazione: tre coltelli e mezzo.
(Tatiana Sabina Meloni)