Rosmary’s baby, di Ira Levin
Titolo: Rosmary’s baby
Autore: Ira Levin
Editore: SUR
Anno: 2015
Pagine: 253
Prezzo: 9,99 euro (ebook) – 16,50 euro (cartaceo)
Sinossi
Guy e Rosemary Woodhouse sono una giovane coppia di sposi. Lui è un attore, in attesa della sua grande occasione; lei sogna una normalità borghese fatta di sicurezza economica, una bella casa, tanti figli. Dopo lunghe ricerche hanno trovato un appartamento nel Bramford – uno storico palazzo nel cuore di Manhattan, circondato da un alone di prestigio sociale ma anche da sinistre leggende – e di lì a poco la loro vita sembra arrivare a una svolta: Guy ottiene una parte in un’importante commedia e Rosemary resta finalmente incinta del primo figlio. Ma non tutto è destinato ad andare per il verso giusto. La gravidanza di Rosemary viene turbata da premonizioni e incubi notturni, da inspiegabili dolori addominali e strani incontri, e soprattutto dall’invadenza di due vicini, troppo premurosi per non risultare sospetti. Pubblicato per la prima volta nel 1967 e portato sul grande schermo da Roman Polanski, con Mia Farrow nel ruolo della protagonista, Rosemary’s Baby è una delle grandi storie di mistero della nostra epoca, ma anche una godibilissima commedia che, dopo aver fatto entrare il Male nelle nostre case, ci aiuta a esorcizzarlo con la grazia di un semplice sorriso.
La recensione di Nero Cafè
Inizio con un brevissimo preambolo: proprio da questo libro è stato tratto l’omonimo film, diretto da Roman Polanski e interpretato da una meravigliosa Mia Farrow e un grandissimo John Cassavetes. Se non l’avete ancora visto, rimediate subito (a distanza di quindici anni, ancora ricordo la bellezza della pellicola, quindi non potete proprio perderla).
Il romanzo è davvero scorrevole e lo si legge in pochissimo tempo. Coinvolgente, mai noioso, presenta uno stile raffinato ma non ampolloso, scevro di barocchismi e quindi capace di arrivare fin dentro l’anima di chi lo legge. Non ci sono paroloni, non ci sono strutture sintattiche contorte e questo rende l’opera immediata e adatta a tutti (a tutti gli amanti del genere, specifico). Anche le metafore, nonostante siano abbastanza numerose, non appesantiscono. La struttura è grossomodo lineare, non vi sono salti temporali ma solo ricordi ben amalgamati con la narrazione.
L’ambientazione è circoscritta alla casa dei coniugi Woodhouse, al Bramford e a pochi altri luoghi, ma il lettore non sente il bisogno di uscire da quelle che, volente o dolente, diventeranno le sue quattro mura. La forma mentis sociale è ben delineata, tuttavia i personaggi avrebbero potuto aver maggior profondità psicologica. Infatti, molti di essi sono appena abbozzati e non riescono a spiccare come avrebbero dovuto; possibile, però, vista la maestria con la quale Levin riesce a intessere una storia semplice ma orribile, che questa sia una scelta dell’autore. I dialoghi sono, invece, coerenti con i personaggi parlanti, seppur non sempre diversificati; malgrado ciò, sono realistici e quando fanno eccezione contribuiscono a dare atmosfera al romanzo.
Forse ero nel mood giusto, forse questo è davvero un libro magico (o, visto l’argomento, maledetto), ma l’ho finito in tre sole sere. Vero che si tratta di un’opera non troppo corposa, però il tocco magico dell’autore c’è e ha il potere di scatenare nel lettore la bramosia di arrivare alla fine. Insomma, a parte l’osservazione riguardo alla psicologia non sempre sviluppata dei personaggi, Rosmary’s baby ha ben donde di essere stato fonte d’ispirazione per registi e scrittori di tutte le epoche. L’orrore, qui, è strisciante, s’insinua sottopelle, dentro le ossa e si fa dolore; lo stesso dolore che deve sopportare Rosmary lo deve sopportare anche il lettore, così come le sue paure, i suoi dubbi, la sua obbligata arrendevolezza. Levin magistrale nel rielaborare un lieto evento e tingerlo di nero. Ho trovato terribile, e proprio per questo fantastico, il finale, caratterizzato da un mutamento repentino di cui solo una madre potrebbe essere capace.
Inutile dire che sì, ne consiglio eccome la lettura.
Estratto
La notte era tiepida e dolce e s’avviarono a piedi; nell’avvicinarsi alla massa scura del Bramford, scorsero sul marciapiede davanti all’ingresso un gruppo d’una ventina di persone raccolte in cerchio accanto a un’auto. V’erano anche due macchine della polizia ferme lì davanti, appaiate, con le luci sul tetto che continuavano a lampeggiare.
Allarmati, e tenendosi per mano, Rosemary e Guy affrettarono il passo. Gli automobilisti di passaggio sull’avenue rallentavano per curiosare; le finestre del Bramford si aprivano stridendo e ne sporgevano alcune teste, accanto a quelle delle cariatidi di gesso. Il portiere di notte, Toby, uscì dal palazzo con una coperta scura che uno dei poliziotti gli tolse di mano.
Il tetto della macchina, una Volkswagen, era ammaccato di lato, il parabrezza si era tutto incrinato. «Morta,» disse qualcuno, e un altro aggiunse: «Ho guardato in su e ho visto come un grosso uccello, un’aquila o qualcosa del genere, piombar giù in picchiata.»
Rosemary e Guy s’alzarono in punta di piedi e allungarono il collo di sopra le spalle della gente. «Avanti, fate largo, ora,» disse il poliziotto che stava al centro. Il gruppo s’allargò, un paio di spalle in camicia sportiva si fecero da parte: Terry era stesa a terra sul marciapiede, con un occhio rivolto al cielo e metà del viso ridotta a una poltiglia rossa. La coperta scura le calò sopra. Nel posarlesi addosso, si tinse di rosso in un punto e poi in un altro.
Valutazione: quattro coltelli e mezzo.
(Tatiana Sabina Meloni)