La scatola a forma di cuore, di Joe Hill

Titolo: La scatola a forma di cuore
Autore: Joe Hill
Editore: Sperling & Kupfer
Anno: 2008
Pagine: 367
Prezzo: 10,50 (cartaceo)
Sinossi
Judas Coyne, mito invecchiato del rock death-metal, è un collezionista del macabro: un ricettario per cannibali, un cappio da boia di seconda mano, un film snuff. Ma niente può competere con quell’oggetto in vendita su Internet: “Vendesi il fantasma del mio patrigno al miglior offerente…” dice l’annuncio. E Judas Coyne ha già la carta di credito in mano. Per mille dollari diventa l’unico proprietario di un abito che appartiene a un uomo morto. Judas Coyne non ha paura. È da una vita che gestisce una serie di fantasmi: quello di un padre molestatore, delle amanti abbandonate senza cuore, degli amici traditi. Ma quello che gli porta il corriere in una scatola a forma di cuore non è un fantasma come tutti gli altri. L’ex proprietario dell’abito è “morto e vegeto” ed è ovunque: dietro la porta della camera da letto, seduto nella Mustang restaurata di Judas, in piedi davanti alla finestra, dentro lo schermo gigante del suo televisore, nel corridoio con un rasoio affilato appeso a una catena nella sua mano scheletrica. E sempre in attesa.
La recensione di Nero Cafè
Altro libro, altra “rece”. Mi sono avvicinata a Joe Hill partendo dal suo primo lavoro tradotto in italiano, La scatola a forma di cuore, per l’appunto, che è rimasta per anni nella mia libreria in attesa di essere sfogliata. Quando, finalmente, ho sentito il suo richiamo, mi sono immersa nella tanto attesa lettura.
N.B.: Prima di proseguire con l’analisi del testo (e, quindi, prima che voi visitatori andiate avanti nella lettura) vorrei fare una puntualizzazione: sappiamo tutti che Joe Hill è il figlio di Stephen King, che ha deciso di non sfruttare il suo vero cognome per una lunga serie di motivi; ciononostante, egli – Joe, intendo – è uno scrittore a se stante che merita di essere valutato in maniera del tutto indipendente, senza dover godere o subire l’ombra del padre. Di conseguenza, non farò riferimenti a King e il mio giudizio non verrà influenzato (né in senso positivo né in senso negativo) dal grado di parentela che ha Hill col Re dell’horror.
La narrazione è scorrevole, la storia scivola bene pagina dopo pagina (tranne alcuni passi piuttosto lenti) e riesce a coinvolgere sufficientemente il lettore tanto da farlo giungere al termine del libro. Hill presenta una scrittura interessante, caratterizzata da una sintassi varia che ondeggia da proposizioni brevi e dirette a frasi più complesse ed elaborate, in grado di trasmettere al lettore la sua cultura narrativa del genere horror. Alcuni stralci sono dei veri e propri gioiellini stilistici, ricchi di metafore e dettagli pur senza scadere in barocchismi inutili. Nei vari capitoli troviamo un discreto mix tra azioni, dialoghi e descrizioni, che riportano a letture di stampo meno moderno e più tradizionale, in contrapposizione a una società e a tematiche prettamente attuali. La struttura non è lineare e si snoda su differenti piani temporali (e materiali), ma il romanzo non perde di immediatezza.
I personaggi sono credibili e propongono vere e proprie persone dei giorni nostri, con il loro passato alle spalle e i loro deliri interiori, i loro vizi, le loro speranze per il futuro. A rafforzare la concretezza dei protagonisti vi sono dialoghi differenziati in base all’interlocutore (sebbene, a volte, risultino banalotti, ritriti) e un’impalcatura psicologica individuale che regge, eppure già dopo la prima cinquantina di pagine il lettore incontra figure stereotipate. Questo inficia pesantemente l’originalità dell’opera e rischia di far storcere il naso a un pubblico smaliziato o conoscitore del genere. Al contrario, le ambientazioni sono molto accurate e l’autore diversifica con maestria gli Stati americani settentrionali da quelli meridionali: questo disegna con chiarezza il divario (ambientale e sociale) che spacca, da sempre, in due gli USA e i rispettivi abitanti.
Ho trovato la lettura gradevole, seppur non troppo impegnativa. Ho molto apprezzato lo stile dello scrittore e in particolar modo ho amato le sue descrizioni. Tuttavia (sì, con me c’è sempre un “tuttavia”, un “ma” o un “però”) mi è parso di leggere un autore ancora acerbo sotto alcuni punti di vista, che ricade in cliché e convenzioni di cui è satura la narrativa mondiale. La storia presentava un potenziale enorme, sebbene la tematica dello spirito infuriato e vendicativo sia stata sviscerata in tutte le forme possibile, ma Hill sembra essersi voluto accontentare di scrivere un romanzo gradevole e nulla più. Peccato, perché, secondo me, ci sono la cultura e il talento adatti a offrire una lettura indimenticabile, ma sembra abbia peccato di pigrizia, specialmente nel finale, frettoloso, quagli gli fosse andata a noia la sua stessa narrazione (o magari, visto la lungaggine di alcuni passaggi, è davvero così).
Sufficiente, Joe, ma nulla di più.
Lettura consigliata a chi cerca un romanzo di intrattenimento senza troppe pretese.
Estratto
Quel bosco dietro il Days Inn era molto diverso dalla foresta che circondava la fattoria di Piecliff, New York. Era un tipico bosco del Sud, aveva un odore dolciastro di putrefazione e muschio bagnato e argilla rossa, di zolfo e acque di scarico, orchidee e olio per motori. L’atmosfera stessa era diversa, l’aria più densa, più calda, umida e appiccicosa. Come un’ascella. Come Moor’s Corner, dove Jude era cresciuto. Angus (uno dei due cani di Jude – NdR) cercò di afferrare con la bocca qualcuna delle lucciole che si libravano qua e là tra le felci, simili a perle di eterea luce verde.
Valutazione: tre coltelli.
(Tatiana Sabina Meloni)