La casa di carta: Corea (Stagione 2) – Seoul cambia tutto

Al termine della prima stagione di La casa di carta: Corea avevamo analizzato le differenze e le somiglianze con il suo omonimo originale spagnolo, in quest’articolo, dando anche delle pagelle alle diverse interpretazioni attoriali.
Con la seconda stagione, entriamo più nel dettaglio e valutiamo la serie nel suo insieme. Se, nelle prime puntate, le vicende continuano a seguire le orme della sceneggiatura spagnola, poco dopo la metà e, in particolare dall’episodio 9 in poi, finalmente la serie sembra prendere una sua strada alternativa.
Viene infatti introdotto un personaggio del tutto assente nell’originale, ovvero Seoul (interpretata da una gelida Lim Ji-Yeon) il cui ruolo è essenziale nell’economia del soggetto coreano, essendo legata a doppio filo tanto a Berlino quanto alla situazione delle due Coree. Dal momento della sua comparsa emerge più preponderante il tema coreano – ed è un bene – dell’eterno conflitto tra il Nord e il Sud e gli interessi dietro alla loro unione distopica, che è nodo centrale di tutta la vicenda.
Visto il finale – c’è un colpo di scena interessante, di cui parlerò nello spoiler che segue – mi aspetto che una terza stagione, se mai ci sarà, possa percorrere finalmente una sua  strada propria, del tutto avulsa dalla matrice spagnola. Se, fino all’episodio 9, tutto ripercorreva le medesime orme lasciate nella sabbia ispanica, da quel momento in poi, nuovi passi sembrano muoversi in un’altra direzione e, lasciatemelo dire, così deve essere, se si vuole che questa serie viva finalmente di vita propria e non come ombra dell’altra.

Attenzione, segue “grosso” Spoiler.

Nell’ultima scena, il Professore paventa all’ispettore una “rivoluzione” e questo porterebbe le vicende dei ladri mascherati su binari differenti e tutto sommato più intriganti e in linea con il tema sociale di riferimento, ovvero il conflitto Nord-Sud. Non avrebbe senso, a questo punto, tornare “indietro” su un nuovo colpo così come fatto dalla serie spagnola, anche perché Berlino – vi avevo detto che c’era un grosso spoiler – è ancora vivo e tutta l’impalcatura andrà per forza di cose ricostruita da zero. Da questo punto di vista, l’inserimento del personaggio di Seoul potrebbe avere una valenza ancor maggiore, dal momento che lei è la figlia dell’aguzzino di Berlino durante gli anni di prigionia in Corea del Nord.

In generale, comunque, a livello di “trovate”, gli sceneggiatori coreani non hanno nulla da invidiare a quelli spagnoli. Se, da un lato, viene a mancare un po’ la precisa e metodica pianificazione del Professore (il personaggio di Álvaro Morte riesce a prevedere il 99% delle mosse delle autorità, mentre quello interpretato da Yoo Ji-tae risulta più approssimativo, forse anche più umano), dall’altro vi è un abile adattamento alla realtà coreana in ogni singolo aspetto, compreso il saper reinventare colpi di scena laddove la storia diverge e prende nuove vie.

Dal punto di vista della regia e del montaggio, c’è una sperimentazione interessante in alcune scene d’azione volta a trasformarle in una sorta di videogioco in soggettiva o in fermi immagine in stile Matrix. A livello recitativo tutti gli attori sono all’altezza, ma le mie preferenze vanno a: Yunjin Kim (Lost) nel ruolo dell’ispettore Seon Woojin, Park Hae-soo nei panni di Berlino, Jeon Jong-seo (Tokyo), Joo-bin Lee (Stoccolma), Kim Sung-oh (il capitano Cha Moohyu) e la stessa Lim Ji-Yeon nel ruolo inedito di Seoul, che ho particolarmente apprezzato.

Nell’attesa di sapere quale futuro attenderà i nostri, concedo alla serie quattro coltelli.

(Daniele Picciuti)