The call: l’orrore corre sul filo
The call è un film coreano che vede alla regia Lee Chng-Yeoh (al suo esordio nei lungometraggi) e, nel ruolo di protagoniste assolute la giovane Jeo Jong-Seo (Burning – L’amore brucia) e Park Shin-Hye (che potete ritovare nella serie Sisyphus e nel film #Alive, entrambi visibili, proprio come The Call, su Netflix). La vicenda narra la storia di Seo-Yeon (Park Shin-Hye), orfana di padre, che fa ritorno alla casa di famiglia dopo molto tempo. La casa appare in stato di abbandono e, fin da subito, intuiamo che in essa aleggia qualcosa di paranormale. Ne è testimonianza una strana visione di scale che bruciano e un passaggio nascosto che porta in un’ala mai vista prima. Seo-Yeon inizia a ricevere anche delle strane telefonate da parte di una ragazza di nome Young-Sook (Jeo Jong-Seo), che sembra subire violenze dalla madre. Preoccupata per lei e incuriosita, Seo-Yeon cerca di saperne di più e quello che scoprirà darà il via a una serie di eventi che le stravolgeranno la vita.
Allerta spoiler.
Il telefono, in qualche modo (che non viene mai realmente spiegato), mette in comunicazione Seo-Yeon con il passato, infatti la stessa Young-Sook risiede in quella casa. La madre vessatrice è la persona che, anni prima, vendette l’immobile ai genitori di Seo-Yeon. La casa, per certi versi vera protagonista della vicenda, bruciò quando Seo-Yeon era piccola e in quell’incidente perì suo padre. La ragazza si rende così conto che le si offre una possibilità unica: salvare suo padre dalla morte. E Young-Sook accetta di aiutarla. A volte, però, anche le azioni dettate dalle migliori intenzioni possono riaccendere fuochi che altrimenti sarebbero rimasti spenti (passatemi la metafora).
Non aggiungerò oltre per non spoilerare troppo – quanto detto qui sopra riguarda comunque la prima parte del film – ma sappiate che non tutto è come sembra e l’incubo in cui precipiterà Seo-Yeon non è da augurarsi a nessuno.
The call parte lento, sornione, per poi svelarsi in tutta la sua crudezza nella seconda parte, e allora diventa una corsa contro il tempo e contro l’impotenza di fronte a eventi del passato in grado di cambiare il presente che non si possono controllare. Personalmente mi è piaciuto e mi ha coinvolto, nonostante non avessi grosse aspettative, e non perché non apprezzi il cinema coreano, anzi, ma credevo si adagiasse sui soliti momenti di ironia che, nel tempo, ho ritrovato nei film e nelle serie made in Korea, e invece è tutto molto crudo e tragico, cime un horror deve essere.
Non mi convince del tutto la scena finale post-titoli, ma ci può anche stare, sebbene non sia spiegata come avrebbe dovuto. Porta a domandarsi se non ci sarà un sequel.
Consigliato a tutti (anche a chi non apprezza i sottotitoli e l’audio in lingua originale: fate uno sforzo!)
Quattro coltelli.
(Daniele Picciuti)