L’osservatore di Franck Thilliez, l’estetica dell’occhio tagliato

Due indagini parallele che diventano una. Al centro di tutto il caso, un film maledetto.
Ludovic, un collezionista di film d’autore, diventa cieco durante la visione di una vecchia pellicola che tanfa di acido. L’ha comprata dal figlio spietato di un collezionista di pellicole deceduto in seguito a una caduta dalla scala a chiocciola che lo portava in soffitta, dov’era la sua adorata collezione.
Lucie, trentasettenne con due gemelle, lavora nella polizia di Lille. È stata amante di Ludovic. È un’appassionata di delitti seriali sanguinolenti. Ludovic cieco chiama per caso proprio Lucie, la sua ex compagna. La donna guarda la pellicola e inizia a investigare.
“Mi chiami Sharko. Anzi Shark. Nessun nome o cognome, nessun grado”. Sharko, un profiler psicopatico, uno di “quelli che affondavano verso gli abissi senza nessuna ipotesi di risalita. Perchè quello schifo di lavoro ti masticava e t’ingoiava e ti digeriva, fino al midollo”. E “quel lavoro significava imparare a vivere da soli coi propri demoni, a bere appiccicati a un miserabile bancone di un bar, e a vomitare il proprio rancore così tanto da non poterne più”.
Cinque cadaveri in decomposizione ritrovati lungo la conduttura di un cantiere chimico. Sono senza mani e senza denti. Quattro sono a pezzettini, il quinto è intero ma scorticato. La parte superiore del cranio è stata rimossa. Le teste e le orbite sono colme di terra. L’assassino ha denudato le vittime e scelto un terreno molto friabile e umido vicino alla Senna al fine di favorirne la decomposizione rapida. C’è ancora un discreto fetore. La terra intrisa di liquidi organici. Sharko investiga e, tra i casi, si ritrova anche quello di Lucie, del vecchio che è stato ucciso con la stessa brutalità dei suoi casi precedenti. Le indagini dei due si uniscono.
Dalla descrizione iniziale, attraverso le parole di Lucie, si evince che sulla pellicola è incisa una parte del Chien Andalou di Bunuel. C’è inoltre una sovrapposizione con qualcos’altro di più temibile e terribile. Al di là della storia, un thriller avvincente, un noir di prim’ordine, il libro ruota tutto intorno all’estetica filmica che fa riferimento all’occhio. Non a caso la metafora dell’occhio tagliato, riferimento forte al cinema del ’29 di Bunuel e Dalì, rimanda proprio, guarda caso, al rovesciamento della prospettiva del mondo come immagine e rappresentazione, portando i personaggi al buio, nella foresta dell’inconscio, dei simboli. La cecità di Ludovic, ma anche la rara forma di schizofrenia paranoide di Sharko, sono tutte percezioni alterate della realtà, una sorta di disturbo della rappresentazione.
Personaggi e delitti tutti legati da un unico filo conduttore, l’occhio, lo sguardo sull’oscurità, il vero elemento conduttore, una visione che uccide, una dimensione onirica data dai fitti riferimenti al cinema surrealista e, più in generale, uno stile che riprende l’estetica dell’occhio tagliato, laddove Chien Andalou si pone come metafora. Non a caso l’autore fa notare che la mano di chi taglia l’occhio, nel film, è fuoricampo. Thilliez pone l’accento sul fatto che, nello scorrere del tempo filmico, il rasoio compare immediatamente nel vissuto del personaggio del film, impedendo a chi guarda di discriminare, di scegliere se vedere o meno. Così è la vita dei suoi personaggi, catapultati da un momento all’altro nel buio dell’indagine, nell’oscurità delle loro pulsioni, nello scoprire il mondo attraverso la sua negazione. Il rovesciamento dell’occhio, lo scoprire dall’interno la realtà, attraverso il negativo della pellicola e nel buio delle proprie coscienze. La conoscenza, quest’uscita dal buio, dalla cecità, sarà molto faticosa per i personaggi che animano questo meraviglioso libro e porterà a svelare una sconvolgente verità.
Thilliez è un autore affascinante. Conosce i meccanismi del noir e li applica alle strutture del romanzo fino a creare un perfetto meccanismo della suspense. La caratterizzazione dei suoi personaggi è dettagliatissima e Thilliez, come in un film noir americano degli anni ‘60, non lascia nulla al caso, secondo l’assunto secondo cui “se all’inizio della storia è presente un chiodo, alla fine della storia ci troverai sicuramente un cadavere”. Ma, Hitchcock avverte: “C’è qualcosa di più importante della logica, è l’immaginazione”. E l’Osservatore è un capolavoro d’immaginazione, dalle visioni oniriche, sulla pellicola alla rappresentazione dei personaggi, gestita con sagace ironia. L’amore per il dettaglio, che va dalle descrizioni delle ambientazioni agli aloni di sudore sotto la camicia dei personaggi, alle descrizioni delle pulsioni interiori agli oggetti, rende il tutto magistralmente orchestrato. Non ultimo, il valore che viene dato dall’autore ai sensi. Oltre alla supervalutazione della vista, in qualità di senso, ci sono molti riferimenti di tipo sensoriale nelle descrizioni, che vanno dal tatto, all’olfatto, e così via, sicchè leggere di Sharko, di Lucie, diviene quasi un’esperienza pulsionale, esperienza del percepire attraverso i sensi dei personaggi. Thilliez è un grande autore, di una cultura cinematografica senza eguali. Conosce tecnicamente il cinema e lo comprende, lo ama in modo viscerale. L’Osservatore è la sua creatura, un libro che non può non essere letto. Ma attenzione, L’Osservatore è un libro realisticamente pericoloso. Si potrebbe diventare ciechi nel leggerlo. Io sono sopravvissuto.

(Luigi Bonaro)