Nel giardino dei fiori che uccidono, di Andrea Costantini

Titolo: Nel giardino dei fiori che uccidono
Autore: Andrea Costantini
Editore: Echos Edizioni
Anno: 2017
Pagine: 156
Prezzo: 12,00 euro (cartaceo)

Sinossi

I personaggi di questi racconti ci provano a vivere una vita normale, fanno di tutto per essere felici. Ma il male fiorisce e questo libro è un giardino, dove puoi trovare fiori che sbocciano malati. Dove puoi sentire le loro radici rimescolare dentro gli abissi oscuri nascosti in ognuno di noi… Quando fu fuori in giardino, i sensi di colpa e il dolore al braccio svanirono. Nessuna sensazione era paragonabile allo spettacolo raccapricciante che gli si materializzò davanti agli occhi, sulla strada di casa. Per la prima volta in vita sua, vide di cosa era capace l’essere umano, quanto disgustosa fosse la creatura che aveva conquistato il mondo. Era nel bel mezzo dell’effetto Bella di Notte. Era l’inferno sulla Terra.

La recensione di Nero Cafè

Per anni sono stata razzista nei confronti delle raccolte di racconti (esclusi i tanto amati classici) e col tempo mi sono pentita e autopunita per aver di certo rinunciato a letture interessanti, di un certo spessore, come nel caso di Andrea Costantini e del suo Nel giardino dei fiori che uccidono. Il primo elemento che mi ha colpito della sua opera è stata la copertina, molto evocativa e particolarmente adatta tanto al genere quanto al titolo e ad alcuni accenni presenti nel testo.
Piccolo avvertimento prima di continuare: la recensione sarà più lunga del solito.

La raccolta è composta da sei racconti di genere horror fantastico. Le tematiche trattate sono differenti, ma tutti, in un certo senso, fanno riferimento al titolo, vuoi per la trama (Questione di concime) vuoi per allegoria (Effetto Bella di Notte, Contratto a tempo determinato, Amori perduti) o vuoi per metafore e similitudini presenti nei testi (Il riflesso, I cattivi pensieri di Mino). Non manca mai, quindi, un cenno al mondo dei fiori. La narrazione è scorrevole, è coinvolgente e gli intrecci delle varie trame, seppur proposti in maniera diversa (in alcuni casi troviamo dei flashback, in altri uno svolgimento lineare), riescono a coinvolgere il lettore. Lo stile subisce piccole variazioni in base al racconto, ma mantiene degli standard costanti, quali una sintassi ricca e una narrazione densa di metafore, le quali riescono a rafforzare le immagini senza appesantire la comprensione né la lettura). Tuttavia, lo stile è sobrio, deciso e spietato: arriva dove deve e prende a pugni stomaco e cuore del pubblico.
Le ambientazioni sono spesso minuziose, altre volte lasciate all’immaginario del lettore, ma Costantini è furbo e apre la raccolta con un racconto in cui l’ambiente circostante è descritto a trecentosessanta gradi. Ciò proietta subito il lettore in un determinato e inconfondibile contesto nostrano, da cui non ci si libererà fino alla conclusione dell’opera. I personaggi hanno spessore, sono ben congegnati e realizzati sia nella psicologia sia nei dialoghi; questi ultimi, in particolare, variano in base ai protagonisti descritti, al loro ceto, al loro stato d’animo e alla loro propensione naturale.

Andiamo ora a spendere due parole sui singoli racconti.
Questione di concime: è il racconto che apre l’opera e credo sia anche uno dei primi scritti dall’autore, in quanto lo stile è più acerbo o, comunque, meno smaliziato, vuoi anche per un colpo di scena che i lettori horror più navigati riescono a intuire. Eppure, nonostante ciò, non ho potuto fare a meno di paragonarlo ad alcuni lavori di Bierce letti recentemente: come lui, Costantini accompagna il pubblico passo passo verso una fine ovvia, giocando non tanto sul cosa avverrà ma sul come. Splendida l’ambientazione.
I cattivi pensieri di Mino (ovvero i gatti hanno sempre ragione): qui l’autore diventa cattivo, nello stile e nelle tematiche. Rabbia, frustrazione e una buona dose di odio represso diventano il fulcro principale. L’idea è ottima e lo svolgimento pure, il cambio repentino di scene rende tutto folle e onirico.
Effetto Bella di Notte: un racconto marcio e affascinante, che sfocia in una crudeltà inaudita. Buono lo stile, ottimo lo svolgimento. Il finale ferisce il lettore, che non può fare a meno di sentire, in fondo alla gola, il fastidioso retrogusto tipico dell’amarezza.
Il riflesso: un’altra piccola perla che si snoda tra quotidianità e fantasia. Ci sono passaggi disturbanti, che l’autore riesce a dipingere con chiarezza avvalendosi di descrizioni brevi e dirette. Finale inatteso, doloroso e commovente.
Amori perduti: uno scritto che alterna brutalità, follia e sentimento, capace di rapire e toccare il lettore. Anche questo presenta un finale a sorpresa, disturbante, vuoi anche per il tema dell’attrazione morbosa verso la morte.
Contratto a tempo determinato: Una chiusura leggera, avente tuttavia un significato nascosto, che propone una creatura ben nota dell’immaginario horror collettivo.

Mi rendo conto di essermi dilungata più del solito in questa recensione, ma sento la necessità di approfondire ancora l’analisi oggettiva e soggettiva (quindi, vi prego, portate pazienza).
È indubbiamente una delle raccolte più belle che abbia letto negli ultimi tempi (e non parlo solo di mesi né solo di esordienti). Il talento c’è, la padronanza linguistica ed espressiva pure. Ma Costantini non scrive solo molto bene (anche se, per carità, ciò dovrebbe essere la prerogativa di qualsivoglia scrittore e scrivente), bensì ha pure la capacità di mescere tematiche importanti e attuali facendole convergere in un genere che, di primo acchito, “non ci azzecca proprio”. Quindi bullismo, pusillanimità, rabbia, violenza, desideri omicidi, malattie, depravazioni, morte e precariato (tutti argomenti narrati dall’autore) trovano sbocco in storie dell’orrore, orrore che si concretizza tanto nel sangue (vi sono certe scene splatter davvero degne di nota) quanto nell’orrore concettuale, psicologico: il lettore capisce che ciò che dovrebbe fare più paura è l’essere umano, con le sue limitazioni mentali, con le sue perversioni, con la sua rabbia repressa che sedimenta fino a creare veri e propri mostri.

Nel giardino dei fiori che uccidono, quindi, non è una semplice raccolta horror, ma un quadro disturbante della società, una serie di fotogrammi esasperati di una vita quotidiana che, a ben pensarci, raggiunge livelli di ripugnanza che nessuna storia totalmente fantastica può rasentare.
Un’opera prima grandiosa per coloro che riescono a squarciare il velo e leggere oltre la semplice narrazione del genere. Storie d’intrattenimento che nascondono la denuncia di un’umanità ormai irrecuperabile.

Estratto.

«L’ho visto e non potevo credere ai miei occhi.
C’era un bambino sul marciapiede. O almeno, sembrava un bambino. Mi salutava con una mano e con l’altra teneva un mazzo di fiori, un mazzo di… gelsomini. Era di piccole dimensioni, come se avesse quattro anni, non di più. Indossava una salopette di jeans e una maglietta rossa. C’era una scritta stampata sulla maglietta ma non riuscivo a vederla.
Ma non era l’abbigliamento la cosa strana di quel bambino, sempre che si trattasse di un
bambino. C’era qualcosa che difficilmente si può vedere sul ciglio di una strada, al parco giochi, al supermercato o in un circo. Qualcosa che mi ha fatto venire un colpo».

Valutazione: quattro coltelli e mezzo.

(Tatiana Sabina Meloni)

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