Slender, the Arrival
Meme. Ovvero i mattoni che formano l’impianto culturale. I geni dell’informazione, insomma. Succede così che, nel 2009, un tale Victor Surge partecipi a un contest di ritocco fotografico, che prevede l’inserimento di entità soprannaturali in comuni fotografie.
Non vince un unicorno, né un fantasma o una sirena. Non parliamo poi di vampiri glamour o adolescenti licantropi testosteronici. No, vince proprio il soggetto di Victor, raggelante nella sua semplicità. Richiamando a un’entità indistinta, simile all’uomo nero come concezione, ritocca una foto dove sono presenti dei bambini, inserendo nello sfondo, quasi nascosta, una figura allampanata, con un vestito nero. Agghiacciante, con le sue braccia lunghissime e il volto completamente privo di tratti e senza occhi. Non contento, Victor completa l’opera con stralci di testo, riferendosi allo “Slender Man” come a un essere reale, creando (involontariamente?) le basi di una leggenda. Victor vince, e la sua creatura prende vita nell’immaginario di internet. La BBC lo descrive addirittura come “il primo grande mito del web”, diffusosi in maniera virale e repentina.
Non tardano ad arrivare fan art, cosplay, immagini e piccole storie che rimbalzano sul web. E, poco dopo, il primo videogioco, chiamato Slender: Eight Pages, prodotto da una casa indipendente, che diventa un fenomeno anch’esso. Gameplay intuitivo, tensione alle stelle, efficacissimo nella sua semplicità.
Il 26 marzo 2013, prodotto dalla Parsec Production e pubblicato dalla Blue Isle Studios, esce l’atteso seguito, chiamato Slender: the Arrival.
La trama è semplicissima: una ragazza, Lauren, va a trovare una sua amica, che abita nel bosco (come nella migliore tradizione horror americana). Un urlo, una casa vuota, strani e inquietanti disegni raffiguranti una figura spaventosa, alta e innaturalmente magra. Cercare la propria amica e sopravvivere, fuggire dal predatore.
Gli elementi sono i più comuni, gli stessi che infilereste in un racconto d’orrore raccontato davanti al fuoco, con la torcia a illuminarvi il volto dal basso. E proprio questa è la forza del gioco (e del meme che vi sta dietro). Si catapulta il giocatore in un’atmosfera claustrofobica, scura, braccati in mezzo a un bosco da una presenza spettrale e senza volto. Mentre giocate iniziate a provare le stesse sensazioni di quando, da bambini, eravate terrorizzati dal buio e dalla presenza nell’armadio, pronta a ghermirvi.
Insomma, un impianto solidissimo, che attanaglia il giocatore fin dai primi istanti, unito a una realizzazione grafica ben fatta e d’atmosfera.
Ma qua iniziano i problemi. Il gioco, in realtà, non va oltre a questo: fuggire, scappare da quest’entità e dalle sue apparizioni improvvise, senza aver la possibilità di fare nulla, a parte raccogliere indizi. La sua forza, col passare del tempo, diventa una limitazione, per finire con l’annoiare il giocatore e assuefarlo al terrore che invece risulta efficacissimo all’inizio della narrazione videoludica.
Alla fine ci si trova invischiati nella reiterazione della meccanica raccogli indizio e fuggi, senza nient’altro da fare, sensazione accentuata dalla frustrazione data dalla difficoltà di sfuggire a un orrore dal quale è impossibile difendersi. Si, perché il gioco non è nemmeno poi così semplice: ci si trova a dover ritentare gli stessi passaggi più e più volte (e vi assicuro che chi scrive ha una certa esperienza di giochini difficili) finendo quasi inevitabilmente con l’inveire al monitor e passare ad attività più gratificanti.
Slender è davvero un bel gioco, se vi limitate a giocarlo per una quarantina di minuti, lasciandovi terrorizzare dalla figura del Magro (il riferimento a Lovecraft NON è casuale). Ma se cercate altro, ahimé, sono costretto a deludervi. Un gioco potenzialmente da 9 si lascia inabissare dalla rigidità delle meccaniche e dalla misera longevità del gameplay, rendendo l’esperienza del giocatore in breve tempo frustrante. Un mio personale consiglio: scaricate la demo, lasciatevi spaventare e passate ad esplorare il meme su internet, in tutte le sue manifestazioni. Sarà un’esperienza assai più gratificante.
(Alberto Della Rossa)