Little Nightmares 2: l’incubo che non sa parlare

Raccontare storie senza usare le parole. Comunicare con suoni e immagini, con atmosfere e suggestioni. Se eliminiamo la comunicazione scritta (o verbale) si potrebbe ripiegare sull’espressività. I movimenti degli occhi, delle palpebre e delle labbra, nonché i gesti potrebbero sopperire alla mancanza della voce, ma i creatori di Little Nightmares (Tarsier Studios) hanno rinunciato anche a questa possibilità. Il protagonista della loro storia infatti indossa un sacchetto di carta in testa, il suo volto è un’incognita, un mistero tra i tanti che aleggiano attorno a questo gioco. I suoi movimenti sono sempre misurati, composti e l’unico suono che emetterà nel corso della sua avventura sarà un “hey”, sussurrato di tanto in tanto.
Nelle prime fasi del gioco ci addentreremo in una foresta nebbiosa, controllando questo bambino dal volto celato, un piccolo folletto in mezzo a un mondo enorme e ostile. L’ambientazione comincia a parlarci da subito con suoni sinistri, colori spenti e particolari macabri. Quasi ogni cosa che vedremo sarà in grado di generare domande nella nostra testa, domande che quasi mai otterranno risposte certe. La voglia di scoprire sarà la motivazione più forte a proseguire, ma più aggiungeremo tasselli al mondo e alla storia e più ci renderemo conto che saremo noi a dover fornire le risposte.
Abbandonando la foresta ci addentreremo in una città desolata, grigia, piovosa, camminando tra mucchi di cadaveri e nugoli di mosche, persone impiccate, scarpe abbandonate a terra. Ovunque ci sarà morte e sfacelo. Cosa sarà successo? Siamo in un mondo post-apocalittico? Perché i pochi adulti che incontriamo cercano di ucciderci?
Esplorando tra i palazzi in rovina ci imbatteremo in una bambina. Un’altra ombra senza volto, un altro fragilissimo folletto che si unirà a noi facendoci talvolta da guida e talvolta chiedendo il nostro aiuto. Si creerà un legame silenzioso, un’alleanza dettata dalle circostanze avverse. Aiutandoci l’un l’altro potremo saltare più in alto, sconfiggere nemici e risolvere enigmi che richiedono collaborazione.
L’aiuto della bambina con l’impermeabile giallo tornerà particolarmente utile nelledue aree principali del gioco in cui ci avventureremo. La prima sarà una scuola infestata da alunni impazziti, bambini del tutto simili a noi, ma in preda a una forsennata e violentissima vivacità, se così vogliamo chiamarla. Sconfiggerli richiederà arguzia e tempismo e le loro teste andranno in frantumi sotto i colpi delle nostre armi di fortuna rivelando corpi di ceramica. Noi stessi, quando moriremo in modo violento, lasceremo a terra cocci in frantumi. Altre domande senza risposta.
Proseguendo il nostro viaggio, ammireremo i piccoli particolari: sbuffi di sabbia, luce che trapela dalle finestre proiettando ombre, e, mentre echeggia una musica minimale –  ma sempre appropriata – fatta di ansimi, cigolii, colpi sordi e lamenti, perfettamente fusi con inquietanti suoni sintetici, arriveremo in un ospedale. In questo caso gli inquietanti nemici saranno mostruosità antropomorfe fatte di garze e protesi. Creature abbandonate negli androni bui del fatiscente edificio, animati dal buio e respinti dall’esile fascio di luce della nostra torcia.
In entrambe le aree sono presenti dei mostri più grossi e difficili da sconfiggere. Adulti abnormi ossessionati dalla nostra presenza, mostri pallidi e macabri di cui possiamo solo ipotizzare l’origine. Compariranno a intermittenza impegnandoci in tese sessioni di nascondino, in cui sfruttare zone d’ombra e nascondigli per passare oltre, oppure ci costringeranno ad adrenaliniche fughe per brevi, ma ostici tratti del nostro percorso.
Sia nel superare queste fasi, sia durante i tentativi di risolvere i puzzle ambientali (chiavi, leve o uccidere i nemici) la meccanica del trial and error si farà spesso sentire. Molti passaggi non possono essere superati al primo tentativo a meno di un colpo di fortuna, quindi ci ritroveremo a morire, capire l’errore commesso e rifare la sequenza nel modo corretto. Nulla di troppo frustrante, anche le parti più ostiche riuscirete a risolverle dopo una manciata di tentativi, dispiace solo che spesso si muoia a causa di piccole imperfezioni nei controlli e o nella difficoltà a prendere le misure dovuta alla struttura platform del gioco.
L’avventura che vivremo sarà breve ma intensa (circa sei ore di gioco) e, fuggendo tra umani rantolanti ridotti a simil-zombie schiavi di vecchie tv dai poteri ipnotici e ombre di bambini che scompaiono al tocco, ci ritroveremo rapidamente nelle fasi conclusive del gioco, cercando di raggiungere l’immenso palazzo la cui grande antenna sembra il fulcro dalla maledizione che affligge la città.
Il finale non darà risposte certe, ma i momenti di inquietudine, la direzione artistica impeccabile e le svariate suggestioni evocate dalla criptica narrazione di Little Nightmares 2, vi lasceranno la voglia di gettarvi al più presto dentro un nuovo capitolo di quest’avventura, per scoprire qualche frammento in più del suo mondo. E, forse, la magia del narrare senza parole consiste proprio nell’evocare la nostra curiosità e le mutevoli ombre che l’affascinano.

(Daniele Tredici)