The Wretched
Titolo: The Wretched
Regia: Brett e Drew T. Pierce
Genere: horror soprannaturale
Anno: 2019
Attori: John-Paul Howard (Ben); Piper Curda (Mallory); Jamison Jones (Liam); Azie Tesfai (Sara); Zarah Mahler (Abbie); Kevin Bigley (Ty).
Trama
Distrutto dall’imminente divorzio dei genitori, sperando di distrarsi, il diciassettenne Ben fa visita al padre per l’estate. Si rende però presto conto che si sta verificando qualcosa di orribile: una strega terrorizza la zona uscendo dai boschi vicini e depredando i bambini fingendosi la loro madre. In cerca di aiuto, nessuno sembra credere alle sue parole: Ben sarà così costretto a muoversi da solo per evitare il peggio.
La recensione di Nero Cafè
Non guardavo un film horror da parecchio, perché mi rendo conto di essere diventata davvero troppo esigente e tale genere, purtroppo, sta sempre più scivolando in una mediocrità generale. Tuttavia, The Wretched mi è stato consigliato e cerco sempre, quando possibile, di seguire le indicazioni altrui.
Comincio col dire che il film parte davvero sottotono, molto lento, complice anche l’immancabile “spiegone” utile a introdurre il background dei personaggi principali (Ben e la sua famiglia), però poi si riprende e ha il pregio innegabile di non annoiare mai. La sceneggiatura è lineare, fin troppo scarna, e, se questo rende la visione semplice e gradevole, dall’altra appiattisce un po’ la narrazione, non riuscendo a dare la profondità psicologica necessaria ai protagonisti della vicenda, che restano bidimensionali. Vi sono, tra l’altro, dei buchi di sceneggiatura che non inficiano l’evolversi delle vicende, ma che lasciano il pubblico più navigato e severo col naso un po’ arricciato. Queste ingenuità, tuttavia, sono mitigate da due plot twist interessanti: il primo è molto ben giocato, un colpo di scena inatteso ma non forzato e che, anzi, viene suggerito lungo tutto il film con riferimenti sussurrati ma così abilmente dissimulati da risultare geniale; il secondo salva una chiusura mediocre ma cade nell’ordinario finale aperto di tutti gli horror che possono, se gli incassi lo consentiranno, offrire un sequel. I personaggi rientrano negli stereotipi dei teen-movie, non hanno una gran profondità ma sono coerenti col ruolo a loro riservato. Anche i dialoghi, fatta esclusione per alcuni scambi di battute già conosciuti a memoria, reggono e funzionano, così come l’ambientazione che ho trovato davvero fantastica, enfatizzata da una fotografia di buona qualità, molto luminosa e calda nelle riprese diurne e oscura e claustrofobica in quelle notturne.
La regia ben si sposa con la sceneggiatura: è semplice, accorta ma non vuole strafare. Pare accontentarsi e questo forse è un bene, seppur manchi di quell’impronta autoriale che potrebbe davvero fare la differenza. Un plauso va comunque sia ai registi sia ai tecnici di montaggio video: sebbene la pellicola non faccia provare davvero vero terrore, alcune immagini riescono a incutere la giusta angoscia. Importante e non scontata è anche l’assenza quasi totale di jumpscare: se si vuol spaventare lo spettatore, lo si fa tramite fotogrammi e questa è cosa buona e giusta. La colonna sonora, infine, è gradevolissima e perfeziona il prodotto riuscendo nell’intento di enfatizzare i giusti momenti.
Lo so, l’ho già detto ma è giusto ripeterlo: dopo quasi trent’anni di film horror, comincio a sentire l’esigenza dell’innovazione e purtroppo qui di originale c’è ben poco, anzi niente.
The Wretched appartiene al filone soprannaturale che vuole offrire una propria visione della strega cattiva, unendo l’horror classico al teen-movie e alla fiaba oscura, ma non ce la fa del tutto, offrendo un pacchetto completo già visto e rivisto. Riesce comunque a strappare qualche assenso compiaciuto agli amanti del cinema d’orrore degli anni Ottanta (come la sottoscritta) grazie a trucco e costumi che omaggiano i film del passato, ma anche qui manca quella vena gore o splatter che si sposerebbe bene sia con gli eventi sia col genere e andrebbe a rafforzare l’inquietudine trasmessa da alcune immagini davvero moleste disseminate nella pellicola, troppo poche, comunque, per conquistare il cuore degli spettatori più collaudati.
Una cosa che ho apprezzato davvero parecchio è il colpo di scena che arriva a tre quarti del film. Non me lo sarei mai aspettato, ma ha senso e non mi sono sentita presa in giro dai produttori, in quanto la situazione viene suggerita già dai primi minuti, ma è proposta con astuzia e viene mimetizzata con grande maestria per tutta la narrazione. Sono stati bravi e intelligenti e questo, secondo me, alza di tantissimo la valutazione finale. Di contro, non mi ha convinto il plot twist finale, telefonato e abusato dai film di genere.
Il lato più negativo della pellicola, secondo me, è la mancanza di innovazione a livello di sceneggiatura e regia. Ci sono troppe poche pretese e si abbonda di cliché, soprattutto nella regia e nella fotografia. Fatta esclusione per alcune riprese, spesso le tenebre sono rischiarate da faretti e illuminazioni del set, smorzando l’ansia che solo un buio completo può trasmettere allo spettatore, che non vede e immagina il peggio. Ho anche trovato molto brutto il solito espediente con cui il regista vuole spaventare il pubblico mostrando il pericolo alle spalle del personaggio di turno, rendendo lo stesso ignaro di quanto sta accadendo. Funzionava un tempo, ora non funziona più, c’è bisogno d’aria fresca. A questo, però, non posso che accostare un timido tentativo di spezzare il tabù horror per il quale “i bambini non si toccano”, ma è solo un accenno iniziale, che fa ben sperare ma poi sfuma in un nulla di fatto.
Valutazione: tre coltelli (pieni pieni).
(Tatiana Sabina Meloni)