Il rituale, un horror permeato di misticismo

ritualeTitolo: Il rituale
Regista: David Bruckner
Genere: horror
Anno: 2017
Attori: Rafe Spall (Luke); Arsher Ali (Phil); Robert James-Collier (Hutch); Sam Troughton (Dom); Paul Reid (Bob)

Trama

Una serata tra amici trentenni finisce in tragedia quando due di loro si trovano nel bel mezzo di una rapina a un drugstore, in cui Bob perde la vita, mentre Luke rimane nascosto, paralizzato dalla paura. Sei mesi dopo, in onore del compagno defunto, i quattro amici – Luke, Phil, Hutch e Dom – decidono di organizzare un’escursione sulle montagne svedesi.
Il meno atletico dei quattro, Dom, si ferisce al ginocchio mentre attraversano i prati esterni alla foresta, così insieme decidono di tagliare per i boschi, in modo da portarlo al più presto a un rifugio. Durante una forte pioggia, però, il gruppo finisce per perdersi e arriva a una baita abbandonata, zeppa di strani simboli pagani. Qui, i quattro passano la notte assaliti da orribili incubi e il giorno dopo le cose prendono una piega ancora più spaventosa.

La recensione di Nero Cafè

Amo gli horror da sempre e, ancora di più, adoro le pellicole a sfondo mistico. Un po’ meno amo le creazioni firmate Netflix, a causa di due brucianti delusioni, ma alla fine mi sono fatta convincere giusto per non sembrare la solita asociale musona.
Vi anticipo, intanto, una cosa: Il rituale è ispirato all’omonimo romanzo di Adam Nevill, purtroppo mai tradotto in italiano. E quando ho scoperto che non v’è una traduzione nella nostra lingua sono morta dentro. Detto ciò, concentriamoci sul film.

La regia è buona, i cambi di scena creano la giusta tensione e alcune panoramiche sono semplicemente mozzafiato. Buona la concatenazione degli eventi proposti, così come il ritmo della narrazione: il film, infatti, inizia subito con una scena di una violenza quotidiana e sconcertante (una rapina finita male), l’ideale per far nascere tensione nello spettatore; da qui, gli eventi che si susseguono ricalcano la cadenza tipica degli horror, ovvero un crescendo di inquietudine che sfocerà, poi, nella rivelazione finale. Ottimo anche il montaggio: fotografia tipica del genere, ma molto naturale negli esterni e inquietante quanto basta negli interni. Notevoli gli effetti speciali, che risultano fluidi, per nulla raffazzonati. Molto bella la rappresentazione della creatura finale (e poi vedremo il perché).
La sceneggiatura c’è, è ben studiata e svolta: la trama ha finalmente un senso e, anche se presenta qualche cliché di genere, riesce a offrire spunti originali. Lo spettatore non si annoia e, al contrario, alla fine riflette (o dovrebbe farlo) su quanto ha appena visto. I dialoghi sono coerenti coi personaggi e risultano molto naturali; buona l’idea d’inserire un po’ di sana ironia, quel tanto da far rilassare il pubblico per poi colpirlo alle spalle con una nuova rivelazione. Buono anche il doppiaggio. I personaggi, inoltre, hanno spessore: cinque le figure che reggono l’intero film (i quattro amici escursionisti e il compagno ucciso in apertura del film, che gioca comunque un ruolo fondamentale), tutte differenziate tra loro nell’atteggiamento, nel modo di parlare e pensare. Buone anche le interpretazioni: bravissimo Sam Troughton (Dom), con i suoi occhioni spalancati che riescono a trasmettere chiaramente ogni palpito di terrore. Non mi ha convinta del tutto, invece, l’attore principale, Rafe Spall (Luke), non troppo espressivo e, mi è parso, poco calato nella parte, sebbene in alcuni momenti appaia perfetto per il ruolo riservatogli.
Ambientazioni, interne ed esterne, ottime, così come la colonna sonora, azzeccatissima in ogni momento della pellicola. Buoni anche i costumi, differenziati per ogni personaggio e adatti sia al ruolo sia alla psicologia dei protagonisti che popolano l’intera pellicola.

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ATTENZIONE: A seguire, le mie impressioni e la mia analisi personale, che potrebbe contenere qualche LEGGERO SPOILER.

Uno dei film horror attuali che mi è piaciuto di più, nonostante l’interpretazione non proprio magistrale di Spall e qualche imprecisione nella regia e nella scenografia. Questo perché, seppur il genere horror sia inflazionato, qui c’è quel guizzo di originalità, a partire dall’atmosfera che permea tutta la storia. Non c’è magia né stregoneria, solo un profondo misticismo che fa da ponte tra l’umanità e il regno degli dèi, ai quali l’essere umano si dona completamente e per i quali fa da tramite non sempre benigno.
Il rituale ha dunque una marcia in più rispetto alle altre pellicole dell’orrore perché né regista né sceneggiatore hanno voluto dare al pubblico un semplice film horror. Forse quest’affermazione può sembrarvi confusa o contraddittoria, ma è così. Questo lavoro vuole essere un film con la F maiuscola e, secondo me, ci riesce alla grande: è ben caratterizzato, ha senso, va oltre gli stereotipi preimpostati del genere e, soprattutto, non è una storia che inizia e finisce, ma è una vera e propria allegoria sull’esistenza e sulla condizione interiore umana, di cui ne denuncia la debolezza, la paura profonda e atavica della morte e l’assoggettamento a qualsiasi deità pur di scamparla. Per questo motivo ho trovato molto azzeccata la rappresentazione della divinità, che ha le fattezze pure e semplici del mostro contro cui ogni uomo combatte: se stesso o altri uomini. Il rituale, dunque, è una vera e propria metafora sui propri contrasti intimi, sulla guerra che ognuno di noi combatte contro i propri demoni interiori. Ho trovato, in tal senso, meravigliosa l’antitesi che il regista e lo sceneggiatore propongono: la paura e il silenzio iniziali in contrasto con il coraggio e il grido liberatorio di chiusura. A livello concettuale, dunque, nulla è stato lasciato al caso.
A onor del vero, ci sono alcuni passaggi che potevano essere sviluppati meglio e rafforzati a livello scenografico e concettuale, in particolar modo un finale che risulta molto veloce, forse un pochino frettoloso. Tuttavia, mi sono detta che un film ha delle tempistiche limitate e che, probabilmente, questi vacillamenti sono dovuti solo alla mancanza materiale di tempo (a questo pro, spero di poter leggere presto il romando di Nevill proprio per valutare se questa mia ipotesi è corretta oppure no).

Penso sia chiaro: ho adorato questo film e ne consiglio caldamente la visione. Due suggerimenti, però: primo, non guardatelo tanto per passare un’ora e mezza o rischierete di non afferrare la filosofia cinica che lo permea; secondo, se cercate un film brutale e splatter, con tanto sangue e poco concetto, Il rituale non fa assolutamente per voi.

Citazione:

«Questa è la casa in cui ci ammazzeranno tutti.»
«Sempre meglio dei nostri alloggi all’università.»

Valutazione: quattro coltelli e mezzo.

(Tatiana Sabina Meloni)

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