The Victims’ Game, un thriller made in Taiwan

Da un po’ di tempo a questa parte ho scoperto il fascino delle serie tv orientali e, tra le tante, The Victim’s Game è una di quelle che mi ha colpito di più, per svariati motivi.

La serie, che è made in Taiwan (nel senso che è di produzione e ambientazione taiwanese), si apre con un antefatto che riguarda quello che possiamo considerare il principale protagonista della serie – anche se dovremmo dire co-protagonista – ovvero Fang Yi–Jen (interpretato da un credibilissimo Hsiao–chuan Chang, noto anche come Joseph Chang), un ragazzo appassionato di chimica affetto dalla sindrome di Asperger. Molti anni dopo, la storia vera e propria parte con il macabro ritrovamento di un corpo in una vasca da bagno, orribilmente corroso dall’acido. La vittima sembra essere una nota cantante taiwanese, cosa che getta nello scompiglio sia il pubblico che la polizia, chiamata a risolvere il caso velocemente. Delle indagini si occupano il neo-promosso a capitano Kuan (Shih-Sian Wang) e il detective Liao (Tsai-Hsing Chang) coadiuvati da altri agenti, mentre la parte scientifica fa capo proprio a Fang, il quale, ormai adulto, coi suoi modi bruschi e spesso indecifrabili, fa tabula rasa di amicizie intorno a sé. Da subito capiamo che i rapporti tra Kuan e Fang sono tutt’altro che piacevoli, anzi, i due non si sopportano proprio. Fang ha una bassa stima di Kuan per via del sospetto che abbia alterato delle prove in un altro caso, mentre Kuan considera Fang arrogante e ingestibile.

Al contempo facciamo la conoscenza della co-protagonista femminile della serie, la giornalista d’assalto Hsu Hai-Yin (interpretata da una spettacolare Tiffany Ann Hsu, il cui nome in mandarino è Wei-Ning Hsu, nome con cui è accreditata anche nei titoli ufficiali), alla ricerca di notizie forti per poter fare il salto e arrivare a una testata più importante. Proseguendo con la visione, scopriamo che Hsu ha un certo ascendente sul detective Liao e riesce, così, a estorcergli di continuo informazioni sulle indagini dei vari casi, in modo da avere notizie sempre fresche. Ciò che non può sapere è ciò che persino la polizia ignora, qualcosa che solo Fang ha scoperto e bada bene ad occultare. Un indizio sulla scena del crimine e un filmato di un video di sorveglianza collegano l’omicidio a sua figlia Hsiao–Meng (interpretata da una cerea Moon Lee), che non vede da anni. Quando, poi, viene ritrovato un secondo cadavere, Fang non fatica a capire che i due casi sono collegati.

In un susseguirsi di vicende che vanno composte come fossero pezzi di un mosaico, Hsu, Fang e Kuan indagano ognuno a modo proprio, cercando di trovare i collegamenti mancanti in una storia che sembra puntare dritto a un serial killer. Quando Hsu e Fang uniscono le forze per aiutarsi reciprocamente, Fang si avvicina ancor più al mondo di sua figlia, scoprendo cose di lei che avrebbe voluto non sapere.

In una continua ed estenuante corsa contro il tempo, Fang deve destreggiarsi in modo da essere sempre un passo davanti a Kuan, nella speranza di trovare sua figlia prima di lui e trarla – in qualche modo – fuori da guai, nascondendo le prove che possano condurli a lei senza essere smascherato dai colleghi. L’aiuto della giornalista si rivela provvidenziale per attuare i suoi propositi. Lei, nonostante i modi incomprensibili di Fang, sembra accettarlo per quel che è, trovando, alla fine, il giusto metodo per rapportarsi a lui. Riuscendo a empatizzare con un uomo che non sembra neppure comprendere il significato di empatia.

È importante sottolineare la valenza etica e morale di The Victim’s Game. Senza andare troppo a fondo, possiamo dire che il tema portante di questa prima stagione (ve n’è in cantiere già una seconda) è il suicidio e ciò che innesca tanto nelle vittime quanto in coloro che subiscono la perdita. Attraverso gli occhi di Hsu e Hsiao-Meng, soprattutto, e in particolar modo negli episodi finali, ci interroghiamo su cosa siano davvero il coraggio, la vita e la morte.

Le interpretazioni di Joseph Chang e Ann Hsu sono eccellenti. Mentre il primo riesce a dare appieno il senso di un uomo che ha un enorme mondo interiore che non sa come manifestare agli altri, suscitando al contempo rabbia e tenerezza per l’inefficacia delle sue relazioni, la seconda incanta tanto con la sua bellezza quanto con la carica emotiva che riesce a trasmettere a chi osserva. Per certi versi Hsu è l’antitesi di Fang: lei, con i suoi modi ora avvenenti ora scaltri, riesce a farsi spalancare qualsiasi porta permettendole di ottenere tutto ciò che vuole. Al contrario, Fang trova solo muri che è costretto ad abbattere. E forse è proprio il loro essere opposti che permettere loro di collaborare e completarsi.

The Victims’ Game è disponibile sottotitolato su Netflix e mi sento di consigliarlo a tutti gli amanti del thriller psicologico.

Quattro coltelli.

(Daniele Picciuti)