Non lasciarmi, di Mark Romanek
Il Terzo Occhio nasce come rubrica sul nero. Recensioni su libri e film che trattino di genere noir, horror, giallo e thriller. Tutto ciò che è nero, nel più ampio significato del termine, finisce sotto lo sguardo spietato della sua pupilla.
A volte accadono miracoli. Eccezioni alla regola. Che diventano regola esse stesse. Perché un film come questo, che sfiora la fantascienza pur non essendo tale, che sussurra al dramma pur rappresentando, allo stesso tempo, una pellicola di formazione, di crescita; un film come questo, dicevo, non può passare inosservato.
Cosa c’è di più nero della crudeltà di una società capace di creare esseri umani al solo scopo di utilizzarli come donatori di organi per le persone “normali”? La disumanità di questo sistema è letale. L’umanità di questi personaggi, impotenti di fronte al mondo in cui vivono, non può non lasciare uno strascico di tristezza che pervade il film dall’inizio alla fine.
Il senso di devastazione interiore dei tre protagonisti, interpretati in modo esemplare da Carey Mulligan – anche io narrante della storia – Andrew Garfield e Keira Knightley (guardatela su questo film e venitemi a dire che non sa recitare!), dirompe attraverso gli sguardi, i silenzi, le domande senza risposta, le scioccanti rivelazioni che ne determinano le scelte – giuste o sbagliate – fino allo struggente finale.
Nera è l’essenza stessa dell’idea che c’è dietro il film diretto da Mark Romanek, basato sul romanzo omonimo di Kazuo Ishiguro (titolo originale: Never let me go).
Nessuna speranza, nessun futuro. Nessuna libertà.
La dignità umana calpestata. Amore e sofferenza mescolati insieme e strappati dalle vite di esseri clonati da altri esseri, che lottano per cercare di vivere al meglio vite già segnate, la cui data di scadenza è predeterminata. Crescite controllate, come allevamenti in batterie. Non c’è spazio per i sentimenti. Tutto è ridotto alla mera funzione di surrogati.
Ma, come dice la voce narrante della Mulligan alla fine, forse non hanno vite poi così diverse da quelle delle persone normali. In fondo, ogni vita è un ciclo.
C’è una fine per tutti.
Uno. Due. Tre. Quattro coltelli.
(Daniele Picciuti)
Che bella recensione! Me lo vedro’ sicuramente.