Recensione: IT, di Stephen King

“IT” di Stephen King (Sperling&Kupfer)

Derry, cittadina del Maine circondata dai boschi, culla di quello che è forse il peggiore degli incubi creati da Stephen King. Pennywise, orribile pagliaccio annidato nelle viscere di Derry come un topo nelle fogne, incarna un Male antico più della Terra stessa, un Male che acquista vigore grazie al nutrimento che ottiene dalle paure dei bambini – nonché dai bambini stessi – gli unici, in effetti, in grado di vederlo.

It è un tomo di oltre mille pagine, che tuttavia scivolano via come acqua. Il merito va tanto all’abilità narrativa di King – mai come in questo caso l’appellativo di Re è calzante – quanto alla struttura del romanzo, che intreccia le vicende del presente ai ricordi del passato. Infatti iniziamo a conoscere gli indimenticabili personaggi del libro solo in apparenza quando sono adulti, in realtà finiamo per entrare nei loro occhi, nei loro pensieri e nelle loro sensazioni soprattutto nelle loro vicende giovanili. Perché è nel passato la chiave di tutto, nei ricordi di quei giorni terribili, quando il “club dei Perdenti “ capitanato da Bill Denbrough ha sonfitto il mostro la prima volta.

It è l’ennesimo esempio della bravura del Re nel trattare il tema della crescita, quel delicato passaggio dall’adolescenza all’età adulta, in cui tutto sembra sospeso e il mondo, così come prima lo conoscevamo, viene stravolto da eventi terrificanti che costringono a una maturazione repentina e forzata.

La forza di questo romanzo è proprio nella delicatezza di questi momenti, contrapposti alla brutalità di altri. Efferati omicidi, atti di follia, lezioni di coraggio, prime ingenue cotte di gioventù, tutto condensato in una spirale dilagante che conduce il lettore pagina dopo pagina verso il doppio avvincente finale. Doppio, in quanto soltanto dopo aver scoperto quale sia stato l’epilogo del primo scontro con Pennywise, si è in grado di affrontare e comprendere i significati nella fine vera e propria, quella in cui Bill, Ben, Bev, Mike, Eddie e Richie chiuderanno per sempre i conti con il loro nemico d’infanzia.

It è forse l’opera più completa di King, che avvince come poche altre riescono a fare. Non c’è solo orrore in questo romanzo – a suo modo è una vera e propria opera di formazione – ma al suo interno si trovano contenuti diversi, che trovano il proprio apice in un misto di filosofia e fede in grado di aprire la mente a una conoscenza – del tutto possibilista – sull’importanza della spiritualità nelle origini di ogni cosa. E, allo stesso tempo e con una semplicità disarmante, è una grande, grandissima storia sull’amicizia.

Chiudiamo in modo inusuale, riportando le ultime righe del romanzo:

Si sveglia da questo sogno incapace di ricordare esattamente che cosa fosse, a parte la nitida sensazione di essersi visto di nuovo bambino. Accarezza la schiena liscia di sua moglie che dorme il suo sonno tiepido e sogna i suoi sogni; pensa che è bello essere bambini, ma è anche bello essere adulti ed essere capaci di riflettere sul mistero dell’infanzia… sulle sue credenze e i suoi desideri. Un giorno ne scriverò, pensa, ma sa che è un proposito della prim’ora, un postumo di sogno. Ma è bello crederlo per un po’ nel silenzio pulito del mattino, pensare che l’infanzia ha i propri dolci segreti e conferma la mortalità e che la mortalità definisce coraggio e amore. Pensare che chi ha guardato in avanti deve anche guardare indietro e che ciascuna vita crea la propria imitazione dell’immortalità: una ruota. O almeno così medita talvolta Bill Denbrough svegliandosi il mattino di buon’ora dopo aver sognato, quando quasi ricorda la sua infanzia e gli amici con cui l’ha vissuta.

It resta, per qualsiasi appassionato del genere horror, una pietra miliare. 5 coltelli

(Nero Cafè – Daniele Picciuti)

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