The Haunting of Bly Manor: Il giro di vite spezza il pubblico

È uscita da pochissimi giorni The Haunting of Bly Manor, di Mike Flanagan, acclamato regista del precedente The Haunting of Hill House (trovate la nostra recensione qui) e di film quali Hush, Gerlad’s Game e Doctor Sleep e già l’opinione del pubblico sui social risulta divisa tra chi lo reputa un ottimo horror e chi ne è rimasto fortemente deluso.

Partiamo da un presupposto: The Haunting of Bly Manor è tratto da Il giro di vite (The Turn of the Screw) di Henry James, uno dei mostri sacri della letteratura gotica del Novecento. Forse per rispetto verso l’autore, lo svolgimento della serie non segue i cannoni classici dell’horror, fatti di estrema suspense e jump scare. Al contrario, ciò che spicca immediatamente è la storia dei personaggi, che in fondo è una storia d’amore, come viene detto durante l’ultima puntata da uno di loro – non vi dico chi – o anzi, aggiungo io, sono tante storie d’amore. E in questo la serie si mantiene fedele al concetto di ripetizione che era alla base del romanzo di James. È una storia d’amore quella che scatena la maledizione di Viola Willoughby (Kate Siegel, già vista in Hill House, assidua collaboratrice e moglie di Flanagan), ed è una storia d’amore quella tra la vecchia istitutrice Rebecca Jessel (Tahirah Sharif) e il subdolo Peter Quint (Oliver Jackson-Cohen, anche lui presente in Hill House); è una storia d’amore “platonica” quella tra la signora Hannah Grose (T’Nia Miller) e il cuoco Owen Sharma (Rahul Kohli), così come è una storia d’amore (e un adulterio) quella tra lo zio dei bambini Henry Wingrave (Henry Thomas, anche lui reduce di Hill House) e la loro mamma, poi morta in un incidente assieme a suo marito durante un viaggio che avrebbe dovuto rimettere in piedi il loro matrimonio. Ed è, infine, una storia d’amore quella tra la nuova istitutrice Danielle “Dani” Clayton (interpretata da una sempre brava Victoria Pedretti, la Nell di Hill House)  e la giardiniera Jamie (Amelia Eve). E, se non bastasse, anche l’amore per i bambini da parte degli adulti, siano essi la madre, un’istitutrice o chiunque altro,  è una storia d’amore che si ripete, nel tempo.

Tutte queste storie si intrecciano tra segreti, sussurri e ricordi, la realtà stessa si mescola al sogno mentre la memoria svanisce, lasciando svanire anche il ricordo delle vite passate. Lo stesso Henry James, in molte delle sue opere, lasciava emergere la sua paura di restare intrappolato nel passato, che i traumi rimossi potessero tornare rivelando le sue debolezze, che fossero lì in agguato, dentro di lui, come una tigre nella giungla (cfr. The beast in the jungle, 1903), pronti a travolgerlo con la loro verità, la verità di un’esistenza vuota che, come una prigione, lo intrappolava al pari di un Inferno personale. E il tema della “belva nella giungla” torna nell’ultimo episodio, attraverso le parole di Dani, perseguitata da un’ombra (che, questo punto, è annidata nel suo passato, dentro di lei) anche quando tutto sembra finito.

Per tutti questi motivi trovo la serie davvero ben fatta. Pur avendo introdotto delle novità rispetto al romanzo originale, pur essendoci differenze, non viene meno l’intenzione con cui Il giro di vite è stato scritto, più di cento anni fa, ed è cosa assai rara nel cinema e nella tv, oggi.  Anche la voce narrante che accompagna le vicende rispecchia uno dei punti forti del romanzo di James, ovvero l’uso del punto di vista interno, cosa atipica per l’epoca e che vide la sua esplosione proprio grazie alla nascita della letteratura gotica. In questo caso, però, non si tratta dello stesso io narrante: nel romanzo, c’è un primo narratore interno che è in possesso di un quaderno riportante la storia dell’istitutrice e poi, tramite la lettura, si entra nel punto di vista dell’istitutrice; nella serie chi narra conosce bene i fatti ma sembra raccontarli da esterna, anche se poi non sarà esattamente così.

Allontaniamoci un momento dalla fedeltà all’opera, che viene soddisfatta quasi appieno. Parlando del lato horror puro e semplice, non mancano elementi disturbanti, come la misteriosa figura che segue Dani e di cui scopriremo l’origine solo dopo alcune puntate, o la misteriosa Signora del Lago. E poi ci sono i bambini: Flora e Miles (bravissimi i due piccoli attori Amelie Bea Smith e Benjamin Ewan Ainsworth) riescono a comunicare diverse emozioni contrastanti. Flora è a tratti dolce e a tratti insopportabile con quel suo continuo ripetere “Perfettamente splendido”, mentre Miles appare, fin da subito, diverso, troppo adulto per la sua età, un non-bambino (e poi scopriremo perché). Se è vero che da un lato l’horror non prevale – mentre è più evidente una traccia thriller, fatta di misteri insvelati – dall’altro, l’horror c’è, ma è un orrore forse più reale che spaventoso, basato sulla triste sorte toccata ai bambini e a coloro che sono morti a Bly Manor, alle produzioni fantasmatiche dei residenti – vivi e non – e alla maledizione che lega la casa alle anime di coloro che muoiono tra le sue mura.

The Haunting of Bly Manor non è per spettatori abituati – e in cerca – di jump scare e mani sugli occhi, di sangue a litri o membra spappolate. Non è nemmeno per chi si aspetta una pellicola simile a Hill House: non è così lontana ma, allo stesso tempo, è differente. Se in The Haunting of Hill House c’erano situazioni con jump scare in quantità e una suspense elevata, in Bly Manor questi effetti sono molto più dosati. Viene privilegiata la storia dei personaggi, le loro relazioni, il passato della casa e forse, per questo, si avverte maggior difficoltà a lasciarsi trasportare. The Hunting of Bly Manor non è soltanto un horror, è anche una saga familiare multigenerazionale. Per alcuni può certamente rappresentare un difetto ma per molti altri – come per me – può rappresentare la visione di un prodotto di più ampio respiro, profondo e appagante.

Nel complesso, quattro coltelli tutti meritati.