Resident Evil: Welcome to Raccoon City – Una trasposizione riuscita
Dopo anni di saghe più volte a fare botteghino grazie a un horror trasformato in action e alle performance acrobatiche di Milla Jovovich (attrice che peraltro apprezzo), arriva finalmente una versione di Resident Evil in cui l’orrore e la tensione la fanno da padrone. Non solo, ma in Resident Evil: Welcome to Raccoon City la vicenda segue fedelmente – o quasi – quella del videogioco che la ispira, catapultando lo spettatore in un mix fatto di ricordi del videogame originale e di un’atmosfera cupa e inquietante che – cinematograficamente parlando – richiama un po’ quella di Silent Hill.
Così troviamo Claire Redfield (una sempre efficace Kaya Scodelario, che ricorderete soprattutto per Skins, Crawl e Maze Runner) alla ricerca del fratello Chris (Robbie Amell, visto in Arq e Upload), assistita da un impacciato agente di polizia bollato come “novellino” che si chiama Leon Scott Kennedy (Avan Jogia, star di Ghost Wars) e che è ben lontano dal personaggio tutto muscoli e strafottenza del videogioco. E, contemporaneamente, si muovono su un’altra scena Jill Valentine (interpretata da Hannah John-Kamen, la Dutch di Killjoys, vista anche in Ant-man and the Wasp, che dimostra sempre grande presenza scenica) e Albert Wesker (Tom Hopper, l’epico Billy Bones di Black Sails, nonché il buon Luther in The Umbrella Academy) alle prese con una villa infestata da morti viventi. Dietro a tutto, come sempre, la Umbrella Corporation, qui rappresentata dal brillante scienziato William Birkin (che ha il volto di Neal McDonough, attore che interpreta villains in maniera quasi ricorrente, uno su tutti il Damien Darhk di Legends of Tomorrow).
Raccoon City è infestata da zombie e i nostri dovranno sopravvivere e fuggire prima dell’alba, quando la città verrà bombardata e distrutta. Se, da un lato, gli affezionati del gioco sanno già come finirà, bisogna ricordare che nelle trasposizioni cinematografiche qualcosa può sempre cambiare, ragion per cui nessun finale è mai scontato.
Ciò che funziona davvero bene, qui, è l’atmosfera, malata e surreale, quasi apocalittica, e il susseguirsi degli eventi in un lasso di tempo breve garantisce quella scarica di adrenalina in più. A trovare dei difetti, direi che Leon è un po’ troppo “novellino” e Claire è forse eccessivamente cazzuta (massacrare un cane zombie brandendo un estintore non è proprio un’impresa all’ordine del giorno). Meglio i personaggi di Jill Valentine e Wesker, più umani nelle intenzioni e negli atteggiamenti. Ho trovato interessante il loro rapporto – e più convincenti gli eventi che li coinvolgono alla villa – anche se le dinamiche circa il legame che li unisce avrebbero meritato un approfondimento che, a mio avviso, avrebbe reso meglio in termini di emozioni.
Diversa la situazione per Claire e Chris, il cui passato emerge man mano che lei si muove all’interno di un certo orfanotrofio in cui i due sono cresciuti, e viene fatta luce sugli esperimenti della Umbrella. I flashback ci raccontano quello che non viene detto a chiare lettere – ed è meglio, io sono sempre per lo show don’t tell – anche se la comparsa di un certo personaggio, in un dato momento, ha un effetto un po’ troppo deus ex-machina.
Il regista e sceneggiatore è Johannes Roberts, noto per aver diretto diverse pellicole horror e che già fece un bel lavoro con il film 47 metri, film sugli squali un po’ diverso dal solito e che ricordo mi colpì per l’introspezione delle due protagoniste.
Nel complesso, Resident Evil: Welcome to Raccoon City è un bell’horror, alcuni lo hanno definito un ottimo B-movie. Io non lo ritengo un B-movie, è un film che ha una bella fotografia, ottimi effetti e funziona, fa il suo dovere e rispetta il videogioco originale in modo più che dignitoso. Consigliato a tutti gli amanti di Resident Evil e dell’orrore in generale. Non arrivo a quattro coltelli solo perché qualcosina in più avrebbero potuto fare, si sente un po’ la mancanza di spessore nei personaggi “secondari”, che poi secondari non sono.
Tre coltelli e mezzo.
(Daniele Picciuti)