The Ignored, di Bentley Little

Bentley Little
The Ignored
Signet, 1997

Bentley Little è un altro autore che da più di vent’anni produce orrore di qualità. Tanto per dirne una, nel 1993 ha vinto il prestigioso Bram Stoker Award con il romanzo The Summoning. Se la maggior parte degli autori contemporanei preferisce lanciarsi sull’orrore nudo e crudo, quello che mi piace di Little è la sua capacità di creare atmosfera, dare enorme spessore ai personaggi e, chiaramente, di spaventare con classe.

The Ignored, con tanto di elogio da parte di un certo Stephen King, è uno di quei romanzi capaci di lasciare il segno sin dalle prime pagine.

Bob Jones ha trovato lavoro in una grande azienda americana ma presto scoprirà che la  sua vita non ne trarrà giovamento. Si renderà conto di essere soltanto l’ingranaggio di un meccanismo nel vero senso della parola. Presto a lavoro nessuno gli rivolge più la parola o si rende conto della sua esistenza. A tutti gli effetti, diventa Ignorato, anche fuori dalla vita d’ufficio, persino dalla sua ragazza che finisce per lasciarlo. Il povero Bob non può che perdere la testa e compiere un gesto insensato contro il suo boss, unica persona che sembra capace di notarlo, anche se per denigrarlo. L’effetto è immediato: scoprirà di non essere il solo Ignorato. Attraverso l’unione al movimento terroristico di Philipe, si avvicinerà a una città intera di suoi simili e si muoverà sempre più vicino alla condizione successiva: essere ignorato dagli ignorati. Non solo, mentre il processo peggiora si renderà conto di cogliere aspetti di un mondo alieno che sembra avvicinarsi sempre di più.

Mi rendo conto che è difficile parlare di un romanzo che mi ha tenuto incollato dalla prima all’ultima pagina, senza rivelare troppo, perciò cercherò di essere stringato.

La vicenda ci viene narrata attraverso gli occhi del protagonista, scelta saggia che permette al lettore di provare ancora più empatia per Bob Jones e la sua situazione grottesca di emarginato. Mentre lui scompare dalla vista del mondo, quest’ultimo sparisce dagli occhi del lettore.

I dialoghi, non moltissimi a dire il vero, in quanto la prima persona si presta a un tipo di narrazione più raccontata, sono molto intelligenti e al tempo stesso veloci.

La tecnica di Little è sopraffina e riesce a districarsi con maestria tra i pensieri sempre più paranoici del protagonista e i fatti narrati. Ammetto di essere stato disorientato per tutto il corso della storia: non sapendo dove l’autore andasse a parare. La soluzione finale è forse quella più giusta, anche se lascia un bel po’ di amaro in bocca. Dato il tema trattato, forse non poteva esserci un finale migliore.

Cinque revolver e mezzo.

(Mauro Saracino)