Ballata per un traditore: sfumature di noir
Che il nero abbia molto più di cinquanta sfumature lo sappiamo bene noi che ne siamo appassionati.
Di noir, intendo.
E se negli anni ‘90 si provava a lavorare tassonomicamente cercando di definire le singole specie e sottospecie del genere, ora, per nostra fortuna, siamo molto più tranquilli in merito e ci limitiamo a goderci quanto viene prodotto nei diversi campi senza tanti retropensieri.
Una delle mie sfumature preferite è quella che riguarda il lavoro della polizia, spesso inestricabilmente legato a quello del suo antagonista principale: il crimine organizzato.
Quando, poi, le due cose si uniscono nella zona grigia che le separa mostrando poliziotti corrotti e criminali guidati da un codice d’onore che potremmo anche definire condivisibile, beh, è il massimo dell’appagamento.
E la lettura di Ballata per un Traditore, graphic novel di Massimo Carlotto, Pasquale Ruju e David Ferracci appaga non poco in merito a tutto questo.
Mentre Massimo Carlotto, cui dobbiamo il ciclo di romanzi dell’Alligatore approdato recentemente alla RAI come serial, ha al suo attivo per lo più opere di narrativa e qualche graphic novel (tra cui l’adattamento di Arrivederci Amore Ciao uscito nel 2005), Pasquale Ruju ha un curriculum speculare, presentandosi come una delle colonne della Bonelli per la quale ha scritto Dylan Dog, Dampyr, Demian e Cassidy, tutti in varie sfumature noir, per poi essere ammesso a scrivere Tex (che con il noir non ha nulla a che vedere, però, quando uno sceneggiatore riesce ad arrivare alla testata storica di Casa Bonelli vuol dire che è uno dei protagonisti del fumetto italiano) ma senza trascurare la narrativa. Di Ruju è la notevole serie noir in cui è protagonista Franco Zanna, (chiamiamolo “fotoindagatore”) per i tipi di E/O che ha anche pubblicato il suo Un Caso Come Gli Altri (di cui Nero Cafè ha già parlato qui).
Non dimentichiamoci, però, che stiamo parlando di un fumetto e quindi tutto questo sarebbe niente senza il lavoro di David Ferracci, assisano classe 1989, per il quale il noir declinato in bianco, nero e grigio pare proprio sia naturale come respirare.
La storia si muove su due piani temporali cui fa da fulcro il personaggio del Commissario Lo Porto, uno dei due protagonisti insieme alla Commissario Stefania Rosati, suo attuale sostituto alla testa dell’anticrimine di Milano, città cui va il titolo di il terzo protagonista.
Il vero motore di tutto è il tradimento. Tradimento degli ideali da parte della vecchia squadra di poliziotti che, imparando a chiudere un occhio, ottengono una relativa pace civica per la Milano da bere e la possibilità di vivere la città da padroni. Tradimento dei vecchi alleati criminali quando temono di vedersi sottrarre la posizione raggiunta per colpa delle nuove indagini su vecchi casi che non dovrebbero più suscitare domande. Tradimento del codice della giustizia per una pura vendetta personale che alla fine apre la possibilità di tradimenti ancora più ampi, tali da non rendere più distinguibili criminali, poliziotti, vecchie e nuove generazioni.
Perché questa è l’altra delle chiavi fondamentali del noir: i due mondi.
In uno vivono i cittadini che lavorano, pagano le tasse, si accollano i mutui e cercano di vivere nella legalità. Nell’altro invece vive una popolazione che conosce quanto scarso sia il valore della vita umana e quanto valga la pena di addentare forte la preda prima che qualcun altro te la sottragga o ti uccida. Il noir apre la porta di questo mondo e ci ammalia con personaggi il cui unico scopo è sopravvivere il più a lungo possibile, consapevoli di dover pagare prima o poi il conto e convinti che da quel mondo nel quale vivono non si torni indietro.
Di questo mondo Massimo Carlotto anche stavolta si dimostra uno dei narratori più appassionati e disincantati attraverso il soggetto della graphic novel. Il connubio con la sceneggiatura di Ruju, che riesce in pochi passaggi a definire perfettamente ogni personaggio narrando passato e presente con l’utilizzo di dialoghi mai scontati offre, poi, la possibilità a Ferracci di lavorare di fino.
Il suo disegno essenziale brilla per la sottrazione degli sfondi, centrando l’obiettivo soprattutto sui personaggi, e anche quelli, spesso, vengono solo tratteggiati, resi magistralmente con l’accoppiata pennello china e grigi computerizzati (usata con differente modalità per distinguere l’azione nel presente e i flashback) tanto da suggerire sfocature e movimento.
Arrivati in fondo, e magari dopo almeno una rilettura per apprezzare bene ogni passaggio, si spera che possano esserci nuovi capitoli di questo «polar» milanese che non solo non sfigura a confronto con le storie della scuola francese, ma che merita un posto sullo scaffale dei fumetti noir accanto a quelli di Brubacker e Rucka.
Una gran bella lettura.
(Arturo Fabra)