L’ipnotista, di Lars Kepler

Alexandra Coelho e Alexander Ahndoril (marito e moglie nella vita), gli autori dietro lo pseudonimo di "Lars Kepler"

Spesso si acquista un libro perché non si ha la minima idea di che cosa leggere, allora ci si affida ai consigli per gli acquisti, nella speranza di imbattersi in una lettura appassionante. Come nella cinematografia, nell’editoria ci sono periodi in cui l’offerta è varia e di buona qualità, altri in cui sembra esserci penuria di prodotti interessanti.

Il 2010 è stato l’anno dell’uscita in Italia de L’ipnotista di Lars Kepler (pseudonimo di una coppia di scrittori svedesi), edito da Longanesi, romanzo che ho acquistato sull’onda emotiva di una pubblicità che lo acclamava come l’ennesimo capolavoro del thriller scandinavo e sulla base di un panorama piuttosto piatto nel quale spiccava sopra tutti gli altri prodotti.

È stato un successo annunciato, lo si evince dalla terza di copertina, dove sono riportate a grandi linee le tappe della scalata alle vendite, che è iniziata direttamente alla fiera del libro di Londra del 2009: “Nel giro di una settimana, più di 20 case editrici nel mondo acquistano i diritti dell’Ipnotista. Diventeranno più di 30 nel giro di un mese…”.

Da notare che il libro non era ancora uscito in libreria.

Il caso arriva sui giornali, il fermento è tale che l’editore svedese decide di anticiparne l’uscita e il romanzo esordisce al primo posto in classifica.

Con tali premesse l’aspettativa è grande, forse troppo.

Non mi dilungherò sulla trama (l’edizione che ho letto è di quasi seicento pagine), che tratta del coinvolgimento di un medico, Erik Maria Bark, che un tempo era l’ipnotista più famoso di Svezia, nella soluzione di un caso di omicidio piuttosto efferato. Erik dovrà eseguire l’ipnosi sull’unico sopravvissuto a una vera e propria mattanza che ne ha sterminato l’intera famiglia. La verità svelata dal ragazzo aprirà nuovi scenari e si intreccerà ad altri accadimenti che sconvolgeranno la vita di Erik e della sua famiglia.

Lo stile nordico è inconfondibile e cala nell’atmosfera di una Stoccolma dalla luce livida, quando non è buia, fredda e tagliente. È un’ambientazione cupa, ma anche la cupezza può essere affascinante quando non diventa pane quotidiano. Il contrasto tra il cielo plumbeo, il biancore della neve e il rosso del sangue copiosamente versato è estetizzante.

La scrittura è sobria e misurata, priva di slanci emotivi. Questo, se da una parte rende lo stile piuttosto sterile e può non piacere a chi preferisce una narrazione più suggestiva, dall’altra aiuta a reggere un equilibrio che grazie a questa “compostezza” fa sì che anche i passaggi più cruenti siano credibili, senza mai cadere nell’esagerazione. È uno stile asettico che rende più efficace l’efferatezza di alcune descrizioni, permettendo azzardi che in altri casi potrebbero apparire come splatter. La bravura dell’autore sta nel disseminare con costanza l’intero testo di accenni, fatti, o anche solo sospetti particolarmente cruenti o malati, agganciando la curiosità del lettore, facendo leva su paure inconsce o aspetti morbosi. Grazie a questo si scorrono le pagine alla ricerca di una risposta che non sembra arrivare mai, ma trovando sempre elementi per continuare a leggere.

Alexandra Coelho e Alexander Ahndoril (marito e moglie nella vita), gli autori dietro lo pseudonimo di “Lars Kepler”

Anche il ritmo appare trattenuto, si vorrebbe “correre”, ma l’autore lo tiene a bada, centellinando le informazioni e dandone tante, troppe, di non fondamentali, spesso inutili; ogni singolo gesto è descritto con attenzione maniacale (scende i gradini, và verso l’auto, infila la chiave, apre la porta e così via). Un grande difetto di questo romanzo è proprio l’abbondanza di dettagli, che a tratti rendono estenuante la lettura al punto da spingere chi legge a saltare interi paragrafi senza fargli comunque perdere il filo del discorso. L’incipit è un esempio, le prime diciotto pagine devono essere lette dando fiducia alla storia, sperando in un cambio di rotta, che arriva (grazie solo a un accenno all’elemento efferato) proprio a pagina diciotto.

Il secondo problema del testo è la mancanza di coerenza della trama in più punti: c’è la presenza di elementi poco credibili inseriti con il solo scopo di risolvere una situazione complessa; sono ingenuità che infastidiscono un lettore attento.

Altro difetto è una caratterizzazione approssimativa dei personaggi, scarsamente empatici.

Il finale è piuttosto prevedibile e, proprio a causa delle ingenuità di cui sopra, delude.

In conclusione, è un romanzo che, forse a causa delle eccessive aspettative, delude sotto più profili, ma a cui bisogna senz’altro riconoscere una trama complessa, perfettamente articolata e condotta con chiarezza, cosa non facile.

Ciò che permette di arrivare alla fine non è la capacità dell’autore di conquistare con uno stile avvolgente e affascinante, ma il desiderio di capire, sbrogliare la matassa e trovarne il bandolo. Nonostante tutto.

(Ilaria Tuti)