Tutti i vampiri di Stephen King

salems-lot«… è ancora buio e sta piovendo… C’è qualcosa che voglio mostrarti, qualcosa che voglio che tu tocchi. È una stanza non lontano da qui, vicina quanto la prossima pagina. Andiamo?»
(Stephen King)

Poteva Stephen King non raccontare storie di vampiri? Certo che no. Anche perché la figura del predatore che si nutre di sangue umano infesta il nostro immaginario da sempre. La consacrazione avviene con Bram Stoker e il suo Dracula, ma “Loro”, il popolo oscuro della notte, esistono in mito e folklore da molto prima.
Cosa si scriveva sui vampiri, prima di King? Negli anni ‘60-‘70 pubblicazioni in tema ce ne sono, ma nessuna capace di dare una svolta al genere: troviamo qualche nome di spicco come Theodore Sturgeon (Some of Your Blood), Robert Aickman (Pages from a Young Girl’s Journal), Colin Wilson (The Mind Parasite e Space Vampires), ma per il resto si tratta per lo più di rielaborazioni noir-romantiche, studi sul vampirismo, storie di Vlad Tepes.
Naturalmente abbiamo Richard Matheson, una delle fonti primarie dell’ispirazione horror kinghiana, con Io sono leggenda (1954) – ma le creature descritte sono più zombie che vampiri – e There’s no such thing as a vampire, nell’antologia Shock 1 (1961). Questo brevissimo racconto, dove si narra della paura del vampiro, richiama per ironia La razza dominante di Fredric Brown (1955): c’è da chiedersi se, in quel periodo, i vampiri “veri” facessero ancora paura. Il modello dei terrori vittoriani è passato di moda e i succhiasangue notturni sembrano generare più parodia che brivido. Però nel 1965 Leslie “Les” Whitten pubblica Progeny of the Adder, un giallo-mistery con vampiri ambientato ai giorni nostri e un detective per protagonista: il primo passo, sebbene isolato, è fatto e i vampiri sono in città.
Torniamo a King: nel 1975 l’autore del Maine pubblica il suo secondo romanzo, Salem’s Lot (Le notti di Salem). La fonte ispirativa non è Matheson – questo avverrà più avanti con Cell, intermediato dai morti viventi di Romero – ma l’autore approccia l’archetipo del vampiro. Salems Lot
I vampiri di King non fanno ridere. Le loro radici sono fra i monti della Transilvania raccontata da Stoker, ma si sono spostati: arrivano nelle sonnacchiose regioni del Maine coperte di neve, nelle cittadine di provincia tanto simili alla nostra. Sono cattivi, di quelli che mordono. E hanno l’aspetto del vicino di casa.
A Le Notti di Salem seguono due racconti indicativi, contenuti nell’antologia A volte ritornano (1978). Jerusalem’s Lot – un omaggio a Lovecraft ambientato nella sinistra location del romanzo – e Il bicchiere della staffa (One for the Road) una sorta di sequel che offre una significativa idea di cosa sia l’horror soprannaturale kinghiano: un’atmosfera di apparente normalità in cui si manifesta il Male, che non si vede mai direttamente ma si percepisce – magari attraverso le confidenze di un anziano abitante in un paesino sepolto nella neve – come una presenza alle spalle o un’ombra nella notte. Ci sono memorie della sua esistenza, ma chi ha coraggio di voltarsi e guardarlo in faccia?
Queste tematiche si ritrovano, ampliate, in Le notti di Salem, assieme a quelli che diventeranno temi frequenti dei romanzi kinghiani: il protagonista con tratti biografici vicini a quelli dell’autore, le cittadine di provincia che nascondono un lato oscuro, un archetipo (il vampiro), collocato in un contesto dove non te lo aspetti, la Casa – in maiuscolo, perché non cela solo stanze vuote – i mostri del passato (inevitabile richiamo per quelli del presente), il peso incombente della religione e, caratteristica che poi si perderà col tempo, l’assenza di un lieto fine vero e proprio. Ovvero, il Male c’è sempre stato, proprio lì, accanto a te, e aspetta il momento opportuno per manifestarsi di nuovo. E per vincere. Non a caso, King scrive così nell’introduzione: “Parleremo del modo in cui il solido tessuto delle cose si dissolve, a volte, con una subitaneità che ci lascia scossi”. Gli omaggi al genere non mancano, basti pensare ai nomi dei protagonisti Straker e Barlow: rovesciando la “w”, abbiamo in pratica l’anagramma di “Bram Stoker”.
Tuttavia King usa altri modi per parlare di vampiri: nel 1988 pubblica nell’antologia di PopsyA.A.V.V  Prime Evil: New Stories by the Masters of Modern Horror, il racconto The Night Flier, successivamente inserito nella raccolta personale del 1993 Nightmares & Dreamscapes (Incubi e Deliri): in questa storia, il vampiro di giorno non sta nella bara come in Salem’s Lot, ma in un Cessna 337, e la notte va a caccia nei piccoli aeroporti lungo la Eastern Seabord. Forse è proprio lui il “Popsy” dell’omonimo racconto – uno young adult che tutti i ragazzini leggerebbero volentieri – contenuto sempre in Incubi e Deliri: di fronte all’abietto protagonista persino un vampiro diventa l’eroe della situazione.
Troviamo ancora i vampiri in quello che è il magnus opus dell’autore del Maine: La Torre Nera. Questa saga fantasy-scifi-horror-epic–western (e chi più ne ha più ne metta) contiene un’ampia collezione di figure vampiriche, tutte a testimoniare come, nel complesso, King continui a pensare che il vampiro “mostro è e mostro rimane”, per quanto accattivante.
Nel quinto volume intitolato I Lupi del Calla, vediamo comparire un personaggio che con i vampiri si è già ampiamente scontrato: Padre Callahan. Come il prete di Salem’s Lot, sconfitto dalla creatura Barlow, si sia ritrovato nel mondo alternativo di Roland e del suo Ka-Tet è ampiamente narrato. Basti sapere che la lotta con i Vampiri Maggiori non è finita, anche se questa volta avrà qualcuno e qualcosa che lo aiuta al di là di un inutile crocifisso.
Altro vampiro, questa volta psichico (stretto parente di It del romanzo omonimo), è Dandelo alias Joe Collins, in agguato come un ragno nelle Terre Bianche di Empathica (La Torre Nera vol. VII).
Ma ci sono anche altri vampiri che gravitano attorno alla Dark Tower. In Legends: Short Novels by the Masters of Modern Fantasy, Vol. 1 (Robert Silverberg) troviamo il racconto Le piccole sorelle di Eluria, incontrate da Roland durante una delle sue peregrinazioni nel Medio-Mondo. Qui i vampiri sono di uno strano tipo, creature dall’aspetto femminile che si spostano assieme ai loro ospedali erranti, vestite di bianco fra lunghe strisce di garza mosse dal vento. Si prendono cura degli ammalati, a modo loro. Una particolare efficacia visiva la troviamo nel fumetto omonimo, pubblicato in Italia da Panini Comics.stephen_king_american_vampire_320_xlarge
Sempre a proposito di fumetti, nel 2010 Vertigo inizia a pubblicare American Vampire, per un totale di due mini-serie. Nella prima, accanto al nome di Scott Snyder c’è quello di Stephen King: l’idea di vampiri che sbarcano oltre oceano e creano una nuova dinastia ha ancora il suo fascino.
Infine, ma non per importanza, gli ultimi vampiri di King li troviamo nel recente romanzo Doctor Sleep. Molto cambiati dai loro progenitori degli anni Settanta, riflettono la nuova sensibilità crepuscolare dello scrittore: ancora cattivi, ancora letali, ma sul viale del tramonto. Rimasti in pochi, malati e mezzi morti di fame – perché trovare cibo nel mondo attuale è sempre più difficile – saranno sconfitti, ma la vittoria dell’eroe (il bambino di Shining, ricordate?) ha un sapore particolarmente malinconico.
King scriverà ancora di vampiri? Forse, ma c’è da chiedersi che aspetto avranno la prossima volta. Se non ha cambiato idea, il Re dell’horror spiega, nella prefazione di American Vampire, quello che i vampiri non dovrebbero essere: pallidi detective che bevono Bloody Mary e lavorano solo di notte, colleghi infelici provenienti dagli stati del Sud, ragazze adolescenti anoressiche, ragazzi-giocattolo con grandi occhi umidi.
Che cosa, allora? “Assassini, dolcezza” dice King “Assassini senza cuore che non ne hanno mai abbastanza di assaporare il Gruppo A. Cattivi ragazzi e cattive ragazze in rosso, bianco e blu, con un particolare accento sul rosso”.

 (Cristina Donati)