Mr. Mercedes, di Stephen King
Anno 2009, America in piena recessione: il lavoro è facile da perdere e difficile da trovare. In una piccola città del Midwest è notte fonda, ma davanti all’ufficio di collocamento la gente è già in fila: uomini e donne di tutte le età, magari con i bambini, attrezzati alla meno peggio. Qualche previdente si è portato un sacco a pelo. All’improvviso, dalla nebbia che sale dal lago, spuntano i fari di una Mercedes. La grossa auto punta sulla folla, accelera e fa un massacro, poi sparisce nella notte. Il killer, soprannominato Mr. Mercedes, rimane sconosciuto fino al giorno in cui, due anni dopo, incrocia il cammino di Bill Hodges, detective incaricato del caso e ora in pensione.
Mr. Mercedes è il primo romanzo di una trilogia (Bill Hodges trilogy, volume 1) che Stephen King ha ideato per una trasposizione televisiva: un thriller ben costruito, una classica storia di “lotta contro il tempo”, almeno per questo primo volume. Però c’è un interrogativo pesante a fine lettura: Mr. Mercedes chi l’ha scritto? Non sembra uscito dalla penna di Stephen King. Tranne il prologo, intitolato “Mercedes Grigia”, che contiene quella zampata tipica del Re, capace di affondare brutalmente nell’animo e nella carne del lettore.
Il buio. Il freddo. Le persone in fila, all’inizio senza volto, poi man mano sempre più tratteggiate, a cui il lettore comincia ad affezionarsi. L’apparizione soprannaturale del “mostro” nella nebbia e il repentino, folle carnaio. La fine di ogni cosa. Questa prospettiva, quest’idea e quest’atmosfera sono tipicamente kinghiane, e anche solo per questo incipit vale la pena leggere il libro. Ma, dopo, la storia cambia tono.
Mr. Mercedes non si fa mancare nessun cliché del genere Hard Boiled, ed è abbastanza (auto) referenziale: non mancano modelli di personaggio usati dallo stesso King in altri suoi romanzi. Abbiamo il Gruppo dei Buoni: il “Poliziotto”, un Philip Marlowe neo pensionato sovrappeso e depresso ma dal cervello ancora fino; la “Bionda sexy” (ma non svampita) tanto per non dimenticare le varie Lola o Velma della tradizione Noir, prese amabilmente in giro; il “Ragazzino in gamba”: non si fa nessun torto razziale, Jerome è la versione di colore di Joe (The Dome) o Jordan (Cell), per fare due esempi, e usa per autoironia un linguaggio alla Mamie di Via col Vento. Intelligentissimo, di buona famiglia e super nerd, Jerome fornisce l’esperienza elettronica tipica della sua generazione. Infine, il personaggio jolly, quello che deve “Evolvere”: Holly, la donna/bambina un po’ caratteriale, una specie di Lisbeth Salander non così abile nella lotta e parecchio tossica.
Troviamo comunque alcune figure più “lavorate”: il “Cattivo”, sebbene sia un mix di stereotipi tipici del villain psichicamente disturbato – un Norman Bates con tendenze nichiliste, sadiche e razziste – ha una caratterizzazione non banale. L’antagonista Brady, “gelataio/tecnico/killer”, vuole uccidere tutti, ma non ci riesce e commette errori tragici (come lo stesso protagonista Bill). Ha sentimenti ambivalenti nei confronti della propria famiglia, dove ha ricevuto e provocato traumi. Vuole morire per stanchezza di sé e degli altri, portandosene dietro il più possibile in un ultimo eclatante gesto distruttivo. Una figura certamente disturbante.
Tuttavia, Il risultato nel suo complesso è costituito da una serie di personaggi simili ad attori, consapevoli di recitare un copione obbligato come in un film che racconta la storia di un film.
La sterminata produzione kinghiana ha prodotto un altrettanto vasto panorama di trasposizioni cinematografiche e televisive di vario livello, dal meraviglioso allo scadente, al decisamente brutto. Non manca nemmeno un vero e proprio copione scritto da King, La tempesta del secolo, ma nel caso di Mr. Mercedes la sensazione è che sia stata fatta un’operazione più “a tavolino”. In questo senso: King ha iniziato a parlare nel 2012 del ”progetto Mercedes”, spiegando di essere stato ispirato da un incidente realmente avvenuto. La sua idea era però di un racconto breve. Evidentemente questo “short” si è poi trasformato in qualcosa di molto più lungo, realizzato apposta per essere adattato in una serie TV e frutto di una certa collaborazione famigliare: entrambi i figli maschi si occupano di scrittura, e la moglie-boss Tabitha è essa stessa un’autrice. È probabile che il papà stesse scrivendo Revival o altro, buttando ogni tanto un occhio alla trama hard boiled in sviluppo, mettendo un tocco di colore qua e là, forse qualche déjà vu: la morte del piccolo Frankie (i fratelli muoiono spesso e male nei romanzi di King), la sedia a rotelle (remember Rose Madder?), il camioncino dei gelati (Scheletri: in almeno due racconti c’è l’uomo del camioncino del latte maniaco omicida), la maschera da clown indossata da Mr. Mercedes.
Però c’è da dire che Stephen King è uno scrittore onesto: nella nota in coda al libro in qualche modo fa capire che si è trattato di un lavoro di gruppo: “…A mia moglie Tabitha, che conosce i cellulari meglio di me, e a mio figlio, il romanziere Joe Hill, che mi ha dato una mano a risolvere i problemi evidenziati da Tabitha. [cut]… Seguito da una preziosa verifica [sull’editing] di mio figlio Owen”.
Tra l’altro, Il linguaggio, molto “giovanile” in certi passaggi, ricorda tanto quello di Joe Hill, molto più cinico del padre e più “vicino” come generazione al personaggio di Brady. Del tipo: “Una tredicenne corpulenta con un culo delle dimensioni dello Iowa”.
Mr. Mercedes si fa leggere con piacere, nonostante alcune incongruenze e forzature, il sangue non è acqua e il talento c’è ma… “The magic is missing”. Aspettiamo la seconda puntata.
(Cristina Donati)