Cancelliamo la violenza contro le donne creando nuovi modelli per sentirci potenti
Sarebbe stato facile il 25 novembre gridare il nostro sdegno verso la violenza contro le donne, magari parlando anche di quelle psicologiche meno conosciute come il gaslighting, che ha il sadico scopo di isolare e svilire la compagna fino ad annientarle la psiche, o definirle come una forma di terrorismo silenzioso che si perpetua giorno per giorno.
Sarebbe bastato ricordare che viene uccisa una donna ogni 72 ore, che l’Uomo Nero si incontra più spesso dentro casa che in un vicolo buio, che l’ISTAT – nonostante quello che sembra – ci rivela che i casi di femminicidio sono diminuiti… ma la statistica è fredda, non suscita molte emozioni: dire che una donna su tre subisce una violenza sessuale nell’arco della sua vita è impersonale; ben diverso è pensare che alla prossima alla cena, se sono presenti tre o quattro donne, almeno una ha subito o subirà una violenza. Magari proprio dall’uomo che le siede accanto e le – e ci – sorride.
Poi, qualche scarpa e segni rossi sul viso, e noi di Nero Cafè avremmo dato il nostro contributo. Perso tra i tanti e oggi già dimenticato. Abbiamo perciò preferito aspettare.
E osservare.
Osservare come la comunicazione della lotta contro la violenza sulle donne contribuisca, anche se in modo inconsapevole e involontario, a dare un’immagine sbagliata della donna.
La donna, infatti, è sempre presentata come vittima, perciò debole e indifesa, quindi va protetta, le si devono costruire muri attorno, gli stessi muri da cui magari vuole uscire per sentirsi viva e libera… allora se l’è cercata, se poi la stuprano. Se poi portava un tanga, era un chiaro messaggio di “ingresso libero”.
È da un po’ di tempo però che abbiamo abbandonato le caverne e non dobbiamo lottare contro bestie feroci o spostare grandi pesi con solo l’uso delle braccia: la forza fisica ormai è una caratteristica e non più una necessità, perciò il valore di un individuo è slegato dalla capacità di sopraffare gli “altri” e proteggere i “propri”. Si vive circondati da “pari” e da tali essere considerati. Se uomini e donne fossero educati in modo simile al rispetto di se stessi e degli altri, il maschio quindi saprebbe gestire il rifiuto e non si sentirebbe in diritto di controllare la compagna-oggetto da proteggere e possedere. Non ci sarebbe nemmeno la femmina che si sottomette felice al compagno brutale, aggiungo: spesso siamo ancora noi a vederci come impotenti principesse da salvare.
Gli abusi, è necessario ribadirlo ancora, non sono una conseguenza della debolezza della femmina umana, ma del bisogno del maschio di esercitare potere su di lei. Questo “bisogno” è stato per millenni una necessità per la sopravvivenza della specie; oggi, almeno nel mondo occidentale, è uno stereotipo difficile da sradicare.
Come si esce da questa situazione? Certo, ben vengano le leggi sullo stalking, la formazione degli operatori sociali, i bollini rossi… ma non sono risolutivi se non avviene una rivoluzione culturale.
A scuola si può fare molto per le nuove generazioni… ma per quelle che le stanno crescendo e dovrebbero educarle? Molto più di quello che si immagina: per esempio, oltre a pretendere che le pubblicità non sfruttino più il corpo della donna per vendere qualsiasi cosa, si dovrebbe imporre un modello di virilità maschile diverso, un maschio alfa 2.0 che sappia e voglia di essere una metà del cielo e non dominare l’altra parte.
Altro messaggio fuorviante, che scaturisce proprio dalle campagne contro la violenza sulle donne, è quando della “vittima debole” che abbiamo appena descritto si mostra l’ipotetico aspetto: è sempre giovane e bella, con un occhio tumefatto e l’altro perfettamente truccato; a volte, se si riesce a intuire come è vestita, ha qualche capo d’abbigliamento sexy e/o strappato. Ebbene, con la stessa certezza con cui Francesco Guccini ne “la locomotiva” dice che gli eroi sono tutti “giovani e belli”, io posso assicurarvi che le donne abusate sono di tutte le età e aspetto fisico, spesso indossano una tuta da ginnastica e non hanno nemmeno avuto il tempo o la voglia di pettinarsi.
Perché la realtà è cosi diversa da come viene rappresentata?
Anche in questo caso ci troviamo di fronte a stereotipi difficili da sradicare: si pensa che lo stupro, per esempio, sia perpetrato da un uomo che, accecato dal desiderio sessuale, non è più in grado di reprimere gli istinti animaleschi; di conseguenza è bene che la donna non lo provochi con il suo abbigliamento o atteggiamento (colpevolizzazione della vittima ancora usata in tribunale). No, lo stupro non è bisogno o desiderio di sesso, ma di possesso, di dominio su qualcuno che ha come unica “colpa” quella di apparire vulnerabile. Lo sfogo sessuale rende “solo” il tutto più divertente.
Nei casi di violenza domestica il fatto è ancora più evidente: i giornali affermano con superficialità che l’uomo ha agito perché “amava troppo”, ma l’amore, nemmeno “malato”, non spinge mai alla violenza. Si tratta sempre del bisogno di affermare il proprio dominio sulla compagna, tanto che il femminicidio è commesso soprattutto quando lei ha trovato la forza di lasciarlo, di non essere più una vittima silenziosa.
Troviamo nuovi modelli per sentirci potenti e nessuno cercherà più di dimostrare di esserlo sottomettendo gli altri: non si venderanno profumi o automobili, però avremo un mondo migliore. E le scarpe(tte) rosse saranno solo protagoniste di una favola e non un simbolo.
(Biancamaria Massaro)