L’assassino di Banconi, di Moussa Konaté
Il Terzo Occhio lo vede.
Un libro che parla di un omicidio. Anzi di tre omicidi.
Un libro che parla dell’Africa. Dei suoi problemi sociali.
L’autore, recita la copertina è uno dei più grandi scrittori africani contemporanei.” (Libération)
Così affonda nella lettura, la pupilla dilatata ad assorbire luce e lettere e immagini.
Le strade affollate, la povertà, cadaveri di piccoli animali che diventano il gioco di ragazzini insolenti, un ragazzo accusato di un omicidio che non ha commesso. Individui che professano la Fede usandola come scudo o come scusa per difendersi o attaccare, per nascondere o coprire.
E due investigatori, un po’ strambi, a volte ingenui, altre volte spiritosi, ma entrambi fiduciosi che le cose andranno a posto. Il commissario Habib è il veterano, quello con più esperienza, quello che non si spaventa se deve affrontare una discussione con graduati più in alto di lui, che deve districare la matassa; Sosso, il suo secondo, è giovane e inesperto, ma di un’arguzia e un’umanità che contribuiscono a renderlo simpatico agli occhi del suo superiore.
Insieme affrontano il caso delle tre morti inspiegabili. Almeno all’inizio. Poi i nodi vengono al pettine, le voci su una cospirazione, su un attentato al potere si fanno insidiose, e ai due indagatori spetta il compito di scoprire la verità che si cela sotto, occultata ma presente, che tutti gli altri (i superiori) sembrano non voler vedere.
Il romanzo si legge fluidamente e, sebbene non abbia picchi a livello contenutistico di storia e di stile, rimane piacevole. Il finale in stile “Poirot” riulsta forse un po’ stucchevole. Il lettore, comunque, finisce col chiudere l’ultima pagina con la sensazione di essersi tirato fuori da quello spaccato d’Africa a noi così lontana ma che, per qualche ora, si è improvvisamente fatto pressante, spalancandosi a noi con prepotenza.
Il Terzo Occhio chiude la sua palpebra e tira fuori i suoi coltelli.
Tre, per questa volta. Anche se l’ultimo è un po’ scheggiato.
(Daniele Picciuti)
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