24 Ore, di Stefano Rossi

Desiderio, illusione, di essere migliore degli altri. Più furbo, più scaltro. Prevalere, dominare, per il gusto di farlo, per nutrirsi di un sogno. Comunque, in ogni caso, primeggiare.

In un pub, da qualche parte nell’america più profonda, l’abituale convivio dei soliti amici alle prese con le solite bevute, viene improvvisamente alterato. Un uomo entra con una valigetta 24 ore in mano, annuncia che essa si aprirà solo fra un giorno esatto al cospetto di un’unica persona, poi si spara. Sgomento, sconcerto. Umana pietà. Che pian piano diventa tentazione. La valigetta. Cosa conterrà? Magari qualcosa di prezioso, è pesante. Qualcosa per cui valga la pena contendersela.

Nella mente di ciascuno dei presenti cominciano a insinuarsi il desiderio, la curiosità, la volontà. Di averla. Solo per sé. Inizialmente alla chetichella, qualcuno ne rivendica l’univoco diritto di possesso. Senza interpellare gli altri. Che non sono d’accordo. E inizia una crescente caccia al trofeo, sempre meno celata, sempre più assoluta. Da quasi educata diventa urlata, prepotente, poi violenta. Della violenza più totale, senza freni, senza remore. Fino al limite massimo e oltre. Dove non esiste più pietà, non esistono più gli amici, non esiste più l‘uomo. Fino a che il cerchio non si chiuderà di nuovo. Per cosa?

Stefano Rossi, giovane autore di 24 ore, ci propone 90 pagine di puro splatter. Dove niente è lasciato all’immaginazione. Il realismo dei massacri è lucido, fotografico, luminosissimo. In uno stile agile e descrittivo, seppure un po’ freddo, snocciola orrori in mirabile serie, quasi con cinismo. L’idea narrativa è davvero interessante, basata sulla archetipica debolezza della natura umana, disposta a perdere ogni inibizione per una illusione. Mirabile anche la rotondità quasi geometrica dell’opera, che gira attorno a se stessa per tornare al punto di partenza. In una metaforica giornata, simbolo della vita, di un’esistenza, della nascita e della morte. Del sole e dell’anima.

Per favore però, non chiamatelo romanzo. Non esiste caratterizzazione dei personaggi, che infatti risultano un po’ tutti uguali, non esiste sovrastruttura, non esistono idee tali da poterlo definire così. Nonostante il prezzo di copertina, davvero pretenzioso, da romanzo appunto. È un buon racconto, specie per gli amanti del pulp totale, con intelligenti spunti e appigli, scorrevole, un po’ prevedibile. Non di più.

(Giovanni Cattaneo)