Mohamed Saji: diario di un malvivente
Per chi viene da lontano, qua è un altro mondo. Molto difficile già di per sé, diventa durissimo se non ci nasci e ci cresci. E l’integrazione non è mai cercata davvero.
Mohamed è un immigrato tunisino. Uno dei tanti. Come tanti, è attratto dal miraggio di una vita migliore. Come tanti, si imbarca clandestinamente verso l’Italia, senza programmazione, senza sapere cosa lo aspetta. Come tanti, una volta qui inizia a vivere di espedienti. Prova a vendere CD contraffatti, all’inizio. Molta fatica, poco guadagno. Non fa per lui. Quando gli si presenta l’occasione, capisce che ci sono scorciatoie a portata di mano per fare soldi. Tanto, non ha scrupoli, non ha coscienza. Inizia con piccoli scippi. Poi, la vendita di droga, sulle spiagge di una località di vacanza campana. Poi, i furti in appartamento. Sempre più in basso, sempre più violento. Sino ad arrivare al gesto estremo. Quello di sostituirsi a Dio. Porre fine a una vita. In modo crudelmente semplice, quasi fosse il gesto più naturale. Indifferenza senza pentimento, rabbia senza redenzione. E, per lui, forse la punizione prevista non è nemmeno così punitiva. Anzi, in fondo, in galera, coi pasti e un letto garantiti tutti i giorni, non si sta nemmeno così male. Peccato solo si sia rotta la televisione.
Claudio Zubani è all’esordio nella narrativa con questo Diario di un malvivente. Che, appunto, più che un romanzo horror o noir è una specie di cronaca delle vicende criminose del Mohamed Saji a cui si fa riferimento nel titolo. L’interessante è appunto entrare nel punto di vista dell’immigrato, tutta la vicenda ha la forma narrativa di racconto in prima persona, è lui stesso infatti che riassume il proprio percorso. E vedere il loro punto di vista, capire la loro morale (pressoché nulla) la loro filosofia (guadagnare a qualsiasi costo, e possibilmente senza fatica), la loro capacità o voglia di integrarsi (nulla anche quella), sono riferimenti importantissimi per tutti noi che cerchiamo di sopravvivere a uno dei problemi più grossi del XXI secolo, quello dei movimenti continui dei popoli, che si spostano dalle loro terre natie verso illusorie promesse. Per il resto, non si notano punte di eccellenza, la scrittura è abbastanza fragile, talvolta perfino sgrammaticata, i tempi di narrazione sono appena accettabili nonostante un uso – o meglio, non uso – della punteggiatura un po’ debole. Lo stile è elementare, davvero poco calzante al personaggio che si sta esprimendo, e i contenuti sono poco accattivanti. Soprattutto, la vicenda è terribilmente omologabile. Che però, almeno da un certo punto di vista, può esser contemporaneamente punto di debolezza ma anche punto di forza dell’opera, universalizzando così bene il problema.
Da leggere, ma solo per capire a cosa stiamo andando incontro. Soprattutto grazie a certe politiche, come minimo miopi.
(Giovanni Cattaneo)