Draghi, streghe e mostri delle Alpi

03-drago-dalla-testa-di-gattoEchi di magia fra le montagne del nord

L’Italia è un paese ricco in abbondanza di leggende, tuttavia la zona delle Alpi ricopre un posto speciale nel nostro folklore. Considerate fin dagli albori come un territorio impervio e misterioso, le Alpi sono rimaste per secoli la dimora di draghi, megere e mostri assetati di sangue nell’immaginario popolare. Rispetto alle pianure, dove ogni metro quadro veniva disboscato e portato alla rassicurante luce del sole, le montagne rimasero per molto tempo difficili da raggiungere e ardue da addomesticare, vere e proprie zone d’ombra, dove gli esseri fantastici sembravano essersi annidati più che in ogni altro luogo.

Io e Orby siamo pronti per il viaggio: valicheremo appena il confine settentrionale a caccia del tatzelwurm, per poi ridiscendere verso in direzione delle prealpi, fra le strii e un misterioso mostro squartatore.

I draghi di Scheuchzer

Fin dai tempi di Sant’Agostino, esisteva fra dotti e popolani la convinzione che le Alpi fossero abitate da draghi volanti e altri esseri eccezionali. Tuttavia fu con il medico e naturalista svizzero Johannes Jakob Scheuchzer (1672- 1733) che iniziarono delle vere e proprie spedizioni scientifiche in questa zona.
Scheuchzer riportò nelle sue opere corredate di tavole e illustrazioni centinaia di specie scheuchzervegetali, animali e minerali. La cosa curiosa è che insieme a fossili, meteore e animali selvatici, egli dedicò una parte dei sui studi proprio al tatzelwurm, ovvero al “verme con le zampe”, il drago alpino.
Secondo lo studioso, le differenze principali fra serpenti e draghi sono molte, come scrive nei resoconti dei suoi viaggi. Un drago si riconosce innanzitutto dalle maggiori dimensioni, dalla presenza talvolta di barba e baffi, pelle o squame che variano di colore dal grigio al nero, nonché da un’enorme apertura delle fauci che, tra l’altro, presentano una triplice fila di denti. I draghi hanno inoltre la capacità di produrre un lugubre verso sibilante capace di far drizzare i peli dietro la nuca di chiunque e sono in grado di aspirare in volo gli ignari uccelli, destinati a diventare così per loro un banchetto prelibato.
Scheuchzer riportò nella sua opera, Itinera alpina, numerosi avvistamenti di draghi e ne tentò una prima catalogazione, in base alle caratteristiche riportate da coloro che avevano assistito in prima persona alle apparizioni delle bestie. Come molto altri studiosi dell’epoca, Scheuchzer non aveva dubbi sull’esistenza dei grandi rettili oggi ritenuti immaginari, e dedicò loro la medesima attenzione che dedicò a qualunque altra specie osservata.
Identificò in questo modo undici tipi diversi di draghi alpini, di cui ne raffigurò tre in delle illustrazioni:
04-drago-alatoIl Drago alato, dotato di ali membranose simili a quelle dei pipistrelli e capace di emettere fiamme dalle fauci;
Il Drago dalla lingua bifida, un essere dall’alito pestifero che, secondo un resoconto, un giorno sbucò da dietro una roccia di fronte a un certo Johannes Egerter di Lenz sull’Alpe Commoor e soffiò contro l’ anziano contadino. Il poveretto sopravvisse per miracolo e riparò nel paese più vicino, dove gli vennero medicati gli occhi dalle orribili scottature. Anche in un’altra occasione vennero avvisati grandi draghi sputafuoco: era il 1649 e le bestie volavano intorno al Monte Pilatus, presso Lucerna;
Il Drago dalla testa di gatto, un essere dal corpo di serpente e il muso felino, raffigurato nell’illustrazione come avvolto nelle numerose spire, avvistato nel XVIII secolo sul Frunsenberg, in Svizzera.
Gli studiosi dell’epoca si resero conto che le Alpi avevano rappresentato un vero e proprio rifugio per tutte quelle specie che, alla fine dell’epoca glaciale, erano fuggite dall’uomo e dal clima sempre più caldo, riuscendo a sopravvivere così fino ai giorni nostri. Chissà che, in mezzo a tante specie, non ci fossero davvero dei draghi?

Il mostro del monte Falò

05-serpente-volante-del-monte-pilatoUna storia meno nota, ma non di meno oscura, è quella del “mostro del monte Falò”, un antico mistero della zona dell’Alto Vergante, nel novarese, nell’area dell’Alpe Soliva o “del principe”.
Io e Orby ci siamo recati sul luogo per voi e abbiamo intervistato gli anziani del luogo, che ci hanno indicato il sentiero per un piccolo alpeggio. Lì abita tutta sola una vecchina, circondata solo dal bosco e dalle sue bestiole domestiche – galli, cani, capre e mucche – che tutti i giorni porta ancora a pascolare, nonostante gli acciacchi dell’età. La donna, che per questioni di privacy chiameremo Annina, ci ha raccontato di come il cosiddetto “monte Falò” fosse un tempo tutto ricoperto da una fitta vegetazione fin quando, dopo un violento e misterioso incendio, rimase privo di foresta e venne adibito al pascolo.
Di tanto in tanto, in un periodo a cavallo fra la fine dell’700 e i primi dell‘800, i pastori della zona ritrovavano carcasse di animali domestici orribilmente squartati nei pressi delle “Tre Montagnette”. Mucche, pecore, capre e persino cani, venivano ritrovati sgozzati e fatti a pezzi; la cosa più inquietante, però, era che i cadaveri non venivano divorati. Ai corpi mancavano solo cuore, fegato e reni, come se qualcuno si nutrisse di tali organi, lasciando tutto il resto illeso. Ben presto nacque la leggenda del “mostro del monte Falò”, e tutt’ora i discendenti di quei pastori, come Annina, raccontano col terrore negli occhi del mostro che disseminò paura in più di una generazione, sentimento che ancora riecheggia fra le lunghe ombre della montagna.
Un giorno le orribili mutilazioni finirono, così com’erano iniziate, e nessuno seppe mai che cosa si celasse davvero dietro al misterioso mostro, se sia stato un orso, un lupo, un avvoltoio o qualcosa di diverso. Purtroppo, diversamente da altre storie a lieto fine, nessuno è sopravvissuto per raccontare il suo mistero.

08-stregheLe Strii e l’Albero Gobbo

La stessa zona attorno alle “Tre Montagnette” era già teatro di avvenimenti misteriosi, in quanto luogo di dimora per eccellenza della Stria, la megera alpina. Abitato fin dalla preistoria dai popoli liguri e dai celti, il comune di Armeno, nell’alto novarese, vicino al lago d’Orta e al lago Maggiore, è un luogo di storie antiche e la gente del posto ricorda ancora la leggenda dell’Arbul Goebb.
Si dice che le Strii abitassero nelle zone più isolate, circondate da galli e gatti neri e che con lo sguardo fulminassero chi passasse troppo vicino alle loro dimore. Vicino alla loro casa c’era sempre una pozza d’acqua o un laghetto con i rospi e amavano tenere come animali “da compagnia” delle grosse lucertole chiamate baslisk, una sorta di via di mezzo fra il ramarro e l’iguana.
Curioso il fatto che Scheuchzer stesso abbia rinvenuto sulle Alpi lo scheletro di una Salamandra Gigantesca, che tuttavia scambiò per quello di uno strano tipo di essere umano!
Oggi le strii sono ricordate come delle figure generalmente malefiche, che scagliavano fatture e portavano cattiva sorte. In realtà di rado qualcuno le vedeva in azione, tuttavia quando i contadini andavano a raccogliere le castagne, talvolta trovavano ossa umane nei boschi e ne davano colpa alle streghe.
L’arte di streghe e stregoni, in Piemonte, era chiamata la “Fisica”, la capacità di padroneggiare il potere sovrannaturale. Si narra di un lungo duello magico, avvenuto un tempo fra una strega molto anziana e il prete di Coiromonte, entrambi praticanti della “Fisica”. Era la fine del ‘700 e la vecchia Stria abitava nell’ “alpeggio maledetto”, situato lungo il sentiero verso Gignese. Le donne di Coiromonte erano costrette a passare di lì ogni09-rudere-nel-bosco giorno per recarsi al Lago Maggiore per commerciare il latte e i formaggi e, in vista dell’alpeggio, si ripetevano delle nenie scaramantiche in dialetto per proteggersi dai suoi influssi malefici. Secondo una leggenda locale, l’anziana strega era nemica giurata del prete, a cui si manifestava spesso sotto le sembianze di animali, esprimendo tutto il suo dissenso, tuttavia il parroco riusciva sempre a neutralizzare in qualche modo i poteri della strega. La diatriba durò per molti anni, finché un giorno la strega non si presentò sotto forma di un grosso cane nero; il prete allora la riconobbe e la colpì con violenza, facendolo fuggire con la coda fra le gambe. Da quel momento, della strega non si seppe più nulla e ben presto l’”alpeggio maledetto” divenne un mucchio di ruderi, senza perdere per questo la sua atmosfera inquietante.
Come avvenuto in altri luoghi, la storia del duello di magia e della sconfitta della strega potrebbe essere l’eco di ricordi atavici del passaggio dai culti pagani, di cui le streghe rappresentano per eccellenza la continuazione medievale, al cristianesimo.

Rimaniamo in zona per avventurarci sull’alpe Tirecchia (Tireja), detta tuttora “alpe delle streghe”, sovente le strii si riunivano sotto un gigantesco castagno ricurvo, chiamato arbul goebb (albero gobbo) e spesso gli abitanti, il mattino successivo, ritrovavano pecore, capre o maiali impiccati. Gli anziani raccontano di come le strii danzassero attorno a questo mistico albero, unico luogo dove crescevano i fungharol, dei particolari funghi allucinogeni che esse consumavano per andare in estasi e “volare”.
07-striaUn’antica leggenda della zona diceva anche che ci fosse dell’ oro nascosto da qualche parte sui monti. La cosa curiosa è che, in effetti, quando poi in età moderna furono fatti i rilievi, furono trovati dei giacimenti minerari e vennero aperte miniere di oro, argento aurifero, mispichel e altri metalli.
Chissà che un giorno non venga anche scoperta la vera storia degli esseri fantastici per ora relegata alla leggenda?
Il sole inizia già a tramontare quando salutiamo l’anziana signora che tanto gentilmente ci ha raccontato le leggende della zona. Facciamo pochi passi, quando sentiamo un rumore. Solo allora notiamo un grosso cane nero uscire dalla cascina e dirigersi verso il bosco con passo sicuro, mentre dalla montagna riecheggia un inquietante vociare.
Io e Orby vi salutiamo e vi diamo appuntamento al prossimo viaggio nel mondo del mistero!

(Flavia Imperi)

Almanacco del Crepuscolo