Tu sei il Male, di Roberto Costantini
La verità non è mai dritta, la verità è un cerchio. Si potrebbe riassumere così la vicenda di Michele Balestreri, da arrogante svogliato commissario di polizia a maturo capo della Sezione Speciale Stranieri della Capitale che fa i conti con il suo passato a colpi di antidepressivi. Scoprirà la verità ma sarà un processo duro e tortuoso.
La scoperta della verità viaggia in un processo circolare che parte da un punto per ritornarvi alla fine del romanzo e andare ancora un poco indietro. In questo ciclo, Michele matura imparando dai suoi errori, pagandoli duramente, una sorta di redenzione di una giustizia terrena, contrapposta a una giustizia divina un poco incartapecorita, rappresentata simbolicamente dal cardinale. Sullo sfondo, cambiamenti sociali e politici dell’Italia dall’inizio degli anni ottanta, anch’essi circolari, laddove, a fronte di mutamenti politici, il potere si conferma e si esplica ciclicamente allo stesso modo.
Ma Michele è un osso duro. Non si lascia piegare dalle vicende politiche. Combatte da solo. In questo senso, Michele incarna tutte le caratteristiche dell’investigatore arrogante solo contro tutti che si può trovare nei gialli di Chandler o di Spillane, dal cocktail di alcolici, donne, antidepressivi, sigarette, violenza fino alla presenza del solito ventilatore, che spazza via tutti i fogli sul tavolo dell’investigatore capo con gli occhi gialli. Michele Balestrieri è un Mike Hammer romano, un duro, tratta le donne come oggetti e crede solo in se stesso. Ma, in più è profondamente italiano. In più del giallo, del noir, Tu sei il male presenta la grande interiorità del personaggio.
Michele è passionale, impulsivo, un idealista ferito dalla società, reca in sé grandi idee di onore e di lealtà tradite, aspettative di cambiamento disattese dal mondo. Non è duro ma lo diventa. L’unica eccezione è rappresentata dal legame, molto forte, con il suo amico Angelo, un ragazzo che, contrariamente a lui, crede ancora fermamente. Michele stima nel profondo Angelo, il quale incarna, per certi versi, l’integrità a cui lui ha rinunciato. Per Michele è troppo tardi, il suo passato lo perseguita quasi fosse una predestinazione. Pagherà tutto, ma lo farà a modo suo.
Un unico delitto all’inizio. Elisa Sordi scompare nel nulla, un pomeriggio di domenica.
Sullo sfondo, una Roma in festa per la partita dell’Italia. Così inizia il romanzo di Roberto Costantini, il quale riesce a realizzare un affresco, a colori molto vividi, della città eterna, divisa, secondo lui, da ciò che si trova da una parte del Tevere e ciò che si trova al di là, spaccata socialmente dai nobili alto borghesi e dalla gente del popolo a cui lui appartiene. Ma la riva del Tevere non è l’unico limes sociale che Costantini mette in evidenza. In questo contesto, Roma, coacervo e punto di incontro di infinite realtà mediate da classi sociali e multirazziali, si configura come teatro di acredini e dissidi molto forti.
Per questo Tu sei il male è un romanzo stratificato. C’è la vicenda politica, quella sociale, ci sono i personaggi, c’è il giallo, c’è una descrizione, immagini molto belle di una città meravigliosa. Sarebbe sicuramente riduttivo parlare solo di giallo o di thriller per questo volume.
Dal punto di vista del giallo – e del noir – la struttura è molto ben gestita e mantiene rigidamente la ramificazione dell’intreccio malgrado l’abbondanza di particolari. Il climax è molto ben gestito e cresce in modo quasi impercettibile, un’ottima strategia della suspense per dirla alla Highsmith che, come tutti gli altri elementi del libro, inizia, si sviluppa e invece di concludersi ritorna alla tensione iniziale arricchita dall’esperienza dei personaggi e della vicenda. Anche nella struttura c’è un ritorno al discorso della circolarità. Nel fare questa operazione Tu sei il male mi ricorda la struttura di un brano blues.
Perché il blues? Tu sei il male è in fondo il racconto di un’angoscia epidermica senza redenzione che diviene nostalgia, in una parola blues. Ma che cos’è il blues? È un linguaggio caratterizzato da una struttura musicale circolare ripetitiva di dodici battute, come la verità è un cerchio. Sostanzialmente il blues è un linguaggio del quotidiano che porta al suo interno, in modo indifferenziato, non le istanze di una sola società ma di tutte le infinite società. A livello sociale, la nascita del blues chiarisce esattamente come si possa attingere ispirazione dalla precarietà di uno stato disgregato che diviene per ciascuno di noi condizione esistenziale. Ma da cosa nasce la nostra necessità di una versificazione del quotidiano? Da dove si origina la ricerca di un linguaggio che possa farsi istanza di una condizione dell’individuo che possa al contempo svelare la violenza e la rapida trasformazione sociale di uno stato che, abbandonati di colpo i propri riferimenti, fonde i propri limes culturali in realtà intellettuali “altre”?
Di tutte le città d’Italia dove questo fenomeno di stratificazione e diversificazione di culture si è sviluppato maggiormente, sicuramente Roma rappresenta il posto dove questo fenomeno è più evidente. Per la stratificazione culturale e per le infinite capacità e possibilità che offre questo linguaggio, il blues si configura come una sorta, consentitemi il termine, di scrittura bastarda (nel senso che contiene in sé elementi eterogenei, istanze tra le più disparate). Parlo di Blues nel senso di musica, ma anche nel senso di scrittura, parlo di struttura circolare e di esperienza soggettiva, introspettiva dell’individuo.
Poi, c’è il noir con cui fare i conti. Il noir è un osso duro, molto duro. È opportuno chiarire che per noir intendo una rappresentazione violenta del crimine molto vicina all’Hard boiled, quello delle copertine in brossura degli anni ’50, la lezione della rappresentazione americana della violenza che ha interiorizzato tutta la letteratura poliziesca classica europea portando il noir dalla scrittura “alta” e per certi versi gnoseologica di Poe e Doyle – dalla brughiera inglese alla strada e al cemento delle metropoli – a genere di consumo, svuotando la forma e sostanziandola di cadaveri piuttosto che di considerazioni filosofiche; il riscatto sociale delle società “altre” che entra prepotentemente nella letteratura, cultura di culture, melting pot, dando vita, anche qui come per il blues, a una scrittura bastarda.
Per questo motivo il blues e il noir sono massimamente rappresentativi della realtà sociale italiana, dove un popolo di eterni migranti e precari – dalla scoperta dei vari mutamenti industriali, sociali, alla ricerca di un italian dream, prodotto del mostro della propaganda commerciale – constata come il progresso, così come viene a concretizzarsi, alla fine, rappresenti in ultimo un’amara condizione di vita senza una prospettiva di riscatto sociale, dando continuità a quella sfiducia letteraria per il progresso che era tipica del naturalismo in Francia e del Verismo in Italia.
Un’ultima cosa.
Tu sei il male. Chi è che incarna il male? La risposta, oltre che nel libro, la dà lo stesso Costantini in un’intervista: «non esistono persone assolutamente buone o assolutamente cattive».
(Luigi Bonaro)